CARTELLO DEI CARBURANTI
Caro benzina, l’inchiesta partita da Varese
Si muove la Procura di Roma. Ma già nel 2013 (per la prima volta in Italia) piazza Cacciatori delle Alpi mise sotto accusa le compagnie petrolifere. Ecco il testo della decisione del Gip

Sale il prezzo del carburante. Secondo le elaborazioni di Quotidiano energia il prezzo medio della benzina servito sale a 1,965 euro mentre quello del diesel sale a 2,023 euro al litro. Il prezzo medio nazionale della benzina in modalità self è 1,821 euro al litro (1,814 il dato del 5 gennaio), con i diversi marchi compresi tra 1,816 e 1,835 euro al litro (no logo 1,819). Il prezzo medio praticato del diesel self è a 1,879 euro al litro (contro 1,875).
Il Governo dichiara, senza mezzi termini, che «c’è qualcuno che fa il furbo», alludendo a manovre speculative da parte delle compagnie petrolifere. E la Procura di Roma ha annunciato un’indagine dopo le denunce presentate a tutte le procure d’Italia dal Codacons che sabato 7 gennaio aveva segnalato, dalle comunicazioni dei gestori, aumenti per il gasolio fino a 2,5 euro al litro sulle autostrade. Il ministero dell’Economia e delle Finanze si è mosso e da dicembre ha dato mandato alla Guardia di Finanza di indagare per verificare l’andamento alla pompa in seguito allo stop definitivo del taglio delle accise scattato il primo gennaio in forza della manovra. La domanda: può la magistratura italiana indagare? Esistono possibili ipotesi di reato? La risposta è sì. E lo insegna Varese.
A VARESE LA PRIMA INCHIESTA
Corsi e ricorsi della storia. Era l’inverno di dieci anni. Anche allora (2013) il prezzo della benzina aveva fatto registrare un’impennata anomala. E come oggi vi furono prese di posizione da parte delle associazioni dei consumatori. La Guardia di Finanza di Varese, su delega del sostituto procuratore Massimo Politi, sequestrò e quindi passò al setaccio tutte le documentazioni relative alle forniture di carburante da parte di sette grandi compagnie petrolifere - furono ribattezzate le “sette sorelle” - per verificare se vi fossero manovre speculative ai danni degli automobilisti. L’inchiesta mirava dunque ad accertare se vi fosse un “cartello” che, in forma di oligopolio, imponesse i prezzi di verde e diesel a prescindere dalle condizioni di mercato e in violazione del principio di concorrenza. Come intuibile, un’indagine di questo tipo non era mai stata avviata in Italia. E fece quindi rumore.
I due articoli del codice penale
La valutazione giuridica sulla fondatezza dell’indagine fu affermativa. Il Gip del Tribunale di Varese, Giuseppe Battarino (nella sua carriera in toga sarebbe poi andato a Roma per poi tornare a Varese) firmò infatti il decreto su istanza di sequestro, tracciato un quadro accusatorio robusto e ancorato al 501 bis del codice penale, e 640, secondo comma, dello stesso: manovre speculative sulle merci e truffa aggravata. Cinque pagine di provvedimento che hanno fatto giurisprudenza.
Il giudice Battarino aveva ipotizzato «artifici e raggiri» posti in essere dalle “sette sorelle” per mantenere elevato il prezzo del carburante, vanificando così quella concorrenza, sul territorio nazionale, che avrebbe fatto scendere il costo alle pompe.
Danno agli automobilisti
I danneggiati? Tutti gli automobilisti. Una valutazione insomma forte, coraggiosa che aveva creato uno squarcio nel mercato, apparentemente insondabile, dell’«oro nero». L’inchiesta per competenza passò dunque a Roma, quella stessa procura che si sta muovendo ora sulla scorta degli stessi presupposti.
Il testo del provvedimento
Ecco il testo del decreto firmato dal giudice Battarino: «Le richieste del Codacons e l’oggetto del sequestro
Il "Coordinamento delle associazioni per la difesa dell'ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori - Codacons" ' di cui si deve ritenere sussistente la legittimazione in quanto ha inteso denunciare fatti che, per obiettività giuridica e concreta configurazione rientrano nell'oggetto dell'attività associativa, come tale previsto e tutelato dall’art. 91 c.p.p. (Cass., III, n. 34220 del 24 giugno - 22 settembre 2009), ha formulato più istanze, anche impropriamente indirizzate a uno o più Uffici giudiziari, di contenuto non integralmente sovrapponibile, con le quali si richiedeva procedersi a sequestro, nei termini che nel paragrafo successivo si chiariranno; identiche istanze sono state trasmesse, in forma "circolare" a una pluralità di Uffici giudiziari su tutto il territorio nazionale; con l'istanza da ultimo qui in esame si richiede il sequestro di una serie di documenti, e in particolare: dei contratti stipulati fra società petrolifere e gestori degli impianti di distribuzione; degli accordi interprofessionali sottoscritti tra le associazioni delle società petrolifere e le associazioni di categoria dei gestori degli impianti di distribuzione; dei contratti tra le compagnie petrolifere e le aziende che operano nel processo industriale e sui prezzi da loro praticati alle società committenti; dei contratti di fornitura; dei contratti di acquisto; dei bilanci consolidati delle principali compagnie petrolifere in Italia; dei contratti tra le società madri e figlie di Stati membri diversi e dello stesso Stato al fine di verificare il rispetto della normativa comunitaria; dei contratti di acquisto e vendita dello stesso prodotto petrolifero all'interno delle società infragruppo sia sul territorio nazionale che tra società situate all’estero; di ricerche realizzate dal centro studi Nomisma Energia; dei contratti di acquisto e vendita dello stesso prodotto petrolifero all'interno delle società infragruppo sia sul territorio nazionale che tra società situate all'estero; ciò allo scopo di pervenire a una "chiara ricostruzione dell'intero quadro all'interno del quale si verificano fattori direttamente incidenti sul prezzo finale della benzina in Italia" nella prospettiva, coltivata dall'Associazione, di verificare il meccanismo, asseritamente illecito, in base al quale i prezzi delle transazioni tra le società petrolifere e i prezzi al consumo subirebbero il condizionamento speculativo delle predette società con danno per i consumatori».
«Reati oggetto di addebito provvisorio e fumus commissi delicti: Il Pubblico Ministero ha qui trasmesso l'istanza e gli atti del procedimento penale con parere contrario al sequestro, non per motivi di merito cautelare, bensì articolando con ampiezza osservazioni sulla competenza a provvedere di questo Giudice; si deve osservare che, anche dopo i subprocedimenti cautelari reali precedenti, conclusi negativamente, il Pubblico Ministero ha svolto, coordinando personale specializzato della Guardia di Finanza, approfondite indagini i cui esiti sono utili ad affrontare le premesse sul fumus commissi delicti dei reati ipotizzati, necessarie a valutare il tema della competenza; ritiene dunque il Pubblico Ministero - ed in tal senso ha proceduto ad iscrizione nel registro delle notizie di reato - che sia ipotizzabile la violazione "quantomeno" degli artt. 501-bis c.pen. e 640, secondo comma, n. 2-bis c.pen.; rinviando, attesa la natura del presente provvedimento, in termini generali agli atti di indagine qui trasmessi, si deve evidenziare dunque che l'addebito provvisorio che raccoglie gli esiti delle indagini è il seguente: violazione, in concorso formale tra le norme, degli artt. 110, 81 cpo, 501-bis e 640, secondo comma, n. 2-bis c.pen., per aver compiuto manovre speculative ed aver posto in essere artifizi e raggiri, consistenti nell'aver volontariamente livellato, concordandoli, salvo modesti scostamenti, i prezzi dei prodotti petroliferi alla pompa, in modo da minimizzare le possibilità di minor guadagno derivanti dall'applicazione dei principi della concorrenza sul mercato nazionale, quindi con danno economico di un numero indistinto e indeterminabile di fruitori del servizio - indotti in errore, ma in ogni caso privi di reale possibilità contrattuale, nella considerazione che le principali compagnie petrolifere agiscono in regime di oligopolio; la Guardia di Finanza e il Pubblico Ministero non escludono inoltre che le manovre speculative e gli artifici e raggiri possano anche essere collegati alle ripetute e immotivate vendite di prodotti petroliferi infragruppo, con conseguenti possibili ulteriori illeciti in materia fiscale e doganale, ovvero violazioni non penalmente sanzionate della normativa comunitaria; l'iscrizione è altresì avvenuta per la fattispecie di cui all’art. 501 c.pen.; si deve ritenere che il fumus commissi delicti investa la fattispecie più strettamente tipizzata - anche in forza di clausola iniziale di riserva - di cui all’art. 501-bis c.pen., ma anche, considerata la fase di indagini in corso e dunque di possibile fluidità degli addebiti e della qualificazione giuridica dei fatti, come ipotesi alternativa (in ragione della cennata clausola di riserva che qualifica il concorso apparente di norme), la fattispecie di cui all'art. 501 c.pen., che può essere integrato da "artifici atti a cagionare un aumento [...] del prezzo delle merci", con l'aggravante dell'essersi l'aumento in effetti verificato (art. 501, secondo comma, c.pen.) e dell'aver riguardato merci di comune e largo consumo (art. 501, terzo comma, n. 2, c.pen.); l’addebito, per quanto riguarda la truffa, dell'ipotesi aggravata di cui all'art. 640, secondo comma, n. 2-bis c.pen., rende questo reato procedibile d'ufficio; gli elementi sin qui raccolti inducono a ritenere sussistente l'aggravante, che richiama l'art. 61 n. 5 c.pen., laddove si consideri la possibilità, se non la necessità, di interpretare la cosiddetta "minorata difesa" non solo in senso fisico, psichico, ambientale, come la prevalente giurisprudenza ha sinora fatto, ma anche, nella singolarità della presente vicenda, nel senso di una debolezza economico-sociale della persona - in linea con la ratio della norma - quale quella determinata dal riflesso di condizioni di mercato oligopolistiche "doppiate" da comportamenti sostanzialmente monopolistici che consentono agli autori del reato di calcolare preventivamente, in ragione del contesto, le maggiori (o totali) probabilità di conseguire il provento del reato; il che è altresì coerente con l'affermazione giurisprudenziale secondo cui non si richiede che la situazione di minorata difesa sia stata ad arte ricercata od indotta, ma solo che l'autore tragga coscientemente e obiettivamente vantaggio dalle circostanze favorevoli all' incontrastato sviluppo della propria condotta illecita; d'altro canto questa interpretazione della norma risulta coerente con un orientamento costituzionale (con riferimento all'art. 41, secondo comma, Cost.), nonché con il rispetto dei principi comunitari di elevata protezione dei diritti dei consumatori; allo stato attuale delle indagini, pertanto, e consideratine gli sviluppi successivi ai provvedimenti precedentemente resi in materia, l'istanza di sequestro probatorio risulterebbe accoglibile con riferimento a quanto non altrimenti acquisibile (in quanto oggetto di ordini di esibizione già emessi dal Pubblico Ministero, o di pubblico dominio conoscitivo) e cioè ai documenti così descritti dal Pubblico Ministero (con condivisibile ricerca di "formula tecnicamente pertinente"): contratti tra le compagnie petrolifere e le aziende che operano nel processo industriale e sui prezzi da loro praticati alle società commitenti; bilanci consolidati delle principali compagnie petrolifere in Italia; contratti tra le società madri e figlie di Stati membri diversi e dello stesso Stato al fine di verificare il rispetto della normativa europea; contratti di acquisto e vendita dello stesso prodotto petrolifero all'interno delle società infragruppo sia sul territorio nazionale che tra società situate all’estero; contratti di acquisto e vendita dello stesso prodotto petrolifero all'interno delle società infragruppo sia sul territorio nazionale che tra società situate all’estero».
Il provvedimento ha quindi esaminato la questione della competenza, trasferendo tutto a Roma: «La Procura della Repubblica di Varese ha sin qui proceduto, per quanto risulta dagli atti, in conseguenza di determinazioni coinvolgenti altri organi inquirenti, nonché di determinazioni assunte in applicazione dell'art. 371 c.p.p.; senza, sempre per quanto risulta, che vi siano state pronunce di altri giudici sul tema della competenza, di talché non si pone, allo stato, questione di applicazione dell'art. 28 c.p.p.; il Pubblico Ministero ha descritto ampiamente le complesse vicende procedimentali che hanno come origine la scelta del Codacons di indirizzare indiscriminatamente esposti a tutte le Procure della Repubblica d'Italia, non apprezzabile perché foriera di sovrapposizioni e inefficienze nelle indagini; il punto finale, in questa sede, non può tuttavia che essere un rigoroso apprezzamento della questione di competenza per territorio, ad evitare l'ipotesi, altrettanto negativa, di un ufficio giudiziario che agisca con interpretazioni late e vaghe dei criteri di competenza; le attività in ipotesi illecite di cui sopra si è detto non possono che ricondursi, coinvolgendo scelte aziendali di ordine generale, agli organi rappresentativi e decisionali di primo livello delle società petrolifere coinvolte, che agiscono nelle rispettive sedi legali; negli stessi luoghi si realizzano i profitti delle attività illecite; restano esclusi, a fronte di questa ricostruzione, criteri residuali di attribuzione della competenza; due delle società hanno sede legale in Milano e cinque hanno sede legale in Roma».
Ecco dunque le conclusioni: «Esistono indizi di commissione del delitti di cui agli artt. 501, secondo e terzo comma, c.pen. ovvero 501-bis c.pen. e 640, secondo comma, n. 2-bis c.pen. da parte dei legali rappresentanti, componenti di consigli di amministrazione e dirigenti delle compagnie petrolifere citate nel paragrafo III; soggetti allo stato non compiutamente identificati;le condotte illecite sono state commesse nelle sedi legali delle predette società; rileva, a fini probatori, il sequestro dei documenti indicati al paragrafo II, in fine; va dichiarata l'incompetenza per territorio di questo Giudice in relazione al predetto atto, con conseguente restituzione degli atti al Pubblico Ministero per la trasmissione alle competenti Procure della Repubblica».
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