LA SENTENZA
Ubriaco in bici? Assolto
Il giudice di appello cancella la condanna di primo grado: secondo la difesa l’uomo non stava pedalando ma spingeva il mezzo a due ruote

Il reato di guida in stato di ebbrezza può essere commesso anche sulle due ruote. Lo ha stabilito tre anni fa la Corte di Cassazione, confermando la condanna a due mesi e 20 giorni di arresto inflitta a un magistrato milanese sorpreso a guidare ubriaco la sua bici.
A un pensionato di Castellanza, classe 1951, in primo grado, davanti al Tribunale di Busto Arsizio, era andata ancora peggio. Fermato nel dicembre di tre anni fa da due agenti della polizia locale di Castellanza, era stato sottoposto all’etilometro: il tasso alcolemico era pari a 2,42 grammi per litro, quasi cinque volte il consentito.
L’uomo fu condannato a quattro mesi di reclusione. Inevitabile il ricorso in appello da parte del suo legale, l’avvocato Licia Colombo. Tuttavia, il difensore non ha basato il suo ricorso sulla presunta «inapplicabilità della disciplina penalistica della guida in stato di ebbrezza alla conduzione di veicoli non motorizzati (e segnatamente della bicicletta)», bensì su un dettaglio non da poco emerso da una attenta lettura degli atti dell’intervento della polizia locale.
Sì, perché, a leggere il verbale di accertamento dei ghisa, poi confluito nella comunicazione della notizia di reato, c’era scritto soltanto che l’uomo era stato trovato seduto a terra sanguinante con al suo fianco la bicicletta. In altre parole, da nessuna parte del verbale si faceva riferimento al fatto che fosse stato visto in precedenza in sella alla bici, creando di fatto le premesse «per un obiettivo e concreto pericolo per la sicurezza e l’integrità degli altri utenti della strada».
Detto che l’imputato, sofferente di svariate patologie croniche, ha ricostruito l’accaduto sostenendo di essersi sentito male e di essere caduto mentre stava portando a mano la bici, nel corso del procedimento di primo grado, uno dei due vigili, sentito come testimone, ha corretto la prima dinamica dei fatti, dichiarando di avere incrociato il pensionato in sella alla bici poco prima della caduta. Quasi un giallo, dunque. Che però il presidente della prima Corte d’Appello di Milano, Paolo Carfì, ha deciso di stroncare sul nascere. Come? Sentenziando di assolvere l’imputato alla luce della particolare tenuità del fatto contestato.
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