IL FESTIVAL
Castelli, un ciak senza frontiere
Il giovane regista luganese, allievo di Olmi, in gara a Locarno: "Ticino ponte fra il cuore delle storie e la precisione del racconto"
Esordiente con grandi maestri, il luganese Niccolò Castelli, 30 anni, è l’unico regista del concorso "Cineasti del presente" a parlare italiano con "Tutti giù", suo , il ciak d'oltreocnfolungometraggio d’esordio dopo il fortunato corto “Moving tree” che è stato ospite di vari festival europei. L’opera è in concorso in una delle due sezioni del Festival internazionale del cinema di Locarno, in programma fino all’11 agosto in Canton Ticino. Le proiezioni, molto attese, sono in programma martedì 7 e mercoledì 8 agosto. Uno dei maestri di Castelli è stato Ermanno Olmi del quale è stato allievo a Ipotesi Cinema. Più recentemente ha collaborato come aiuto regista con il premio Oscar Xavier Koller durante le riprese de “I fratelli neri”.
Con Olmi com’è andata?
"L’avevo conosciuto nel 2001 durante un workshop a Chiasso organizzato dall’ufficio della cultura. Mi ero trovato vicinissimo al suo modo di fare cinema e di raccontare. Dato che avevo in programma di trasferirmi a Bologna per studiare al Dams, gli avevo chiesto di essere ammesso ai suoi corsi. Mi aveva accolto ed è nato un rapporto bellissimo perché lui è molto curioso di vedere cosa fanno i giovani, gli portavamo tutto quello che realizzavamo e lui ci dava consigli. C’è stato un periodo di rapporti molto intensi durato quasi cinque anni. In seguito mi sono trasferito a Zurigo ma sono tuttora in contatto con lui, un paio di volte all’anno torno a Bologna e mi incontro con il gruppo".
Si è confrontato con Olmi per “Tutti giù”?
"Purtroppo non è stato ancora possibile fargli vedere il film, era impegnato nella lavorazione di un suo lavoro, gli avevo parlato del progetto e gli era piaciuto".
Come mai hai scelto di studiare cinema in Italia?
"Perché mi sono sempre interessati l’arte, la cultura e lo spettacolo italiani. Dopo gli studi superiori a Lugano volevo cambiare aria e impregnarmi della cultura italiana di cui comunque il Ticino fa parte".
Sente il suo cinema più svizzero o italiano?
"Dall’Italia ho preso la voglia di raccontare storie, dal Nord delle Alpi ho imparato a lavorare con le immagini più che con i dialoghi in senso formale. Mi interessa coniugare le due cose, in Ticino siamo un ponte, abbiamo sangue mediterraneo e il formalismo nordico. Credo di essere a metà tra queste due cose".
Perché Lara Gut, una sportiva, come protagonista del suo film d’esordio?
"Sua mamma era la mia maestra di ginnastica ed è mia vicina di casa. L’avevo contattata per farmi spiegare come funzionava il mondo dello sport giovanile e dopo un po’ le ho proposto di interpretare lei la parte perché pensavo avesse il potenziale per farlo".
È stato difficile farla recitare?
"Molto più semplice del previsto, Lara ha un grande talento nel gestire e muovere il suo corpo. Sul set era molto concentrata. È un persona abituata ad andare a 150 all’ora sulla neve e sa quando occorre il guizzo vincente. È stato bello lavorare con lei, non ha la tecnica ma la sopperisce con il grande talento".
Il suo film non ha coproduzione italiana, come mai?
"Non è facile trovarle, soprattutto per un esordiente. Villi Hermann di Imago Film ha trovato il modo di realizzarlo ugualmente solo con fondi svizzeri. Ci piacerebbe trovare una distribuzione in Italia, tra i protagonisti ci sono Roberta Fossile che ha recitato in alcuni film italiani, con Paolo Sorrentino in “Le conseguenze dell’amore. Spero che sia visto da più gente possibile".
Come vede il futuro del cinema svizzero: riuscirà a varcare la frontiera?
L’Italia non lo ama molto, sono più apprezzati i film italiani, francesi e americani. Sta a noi riuscire a raccontare storie universali e convincere gli italiani che il nostro cinema può piacere".
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