IL PERSONAGGIO
Ciao Pappalardo, romantico clochard
Stravagante poeta della furbata col vizio del vino, ha tenuto i benpensanti in "scacco" per decenni: Pappalardo s'è spento nella sua città dov'era nato nel 1924

Il controcanto perfetto al moralismo provinciale: i suoi erano lampi d'irrequietezza scambiati per follia. Eppure Gaspare Pappalardo era solo colore: più che altro rosso rubino, come quello di certi vini d'annata o d'osteria. Bianco e nero lo fu una volta sola. Al partigiano impettito che, incrociandolo col moschetto in spalla, alla fine d'aprile del '45, gli chiese: sei bianco o nero, lui, deponendo l'arma, tutto d'un fiato rispose "bianconero".
Pennellava di sé Varese, Gaspare fu Umberto, classe 1924, venendo bollato come clochard spesso avvinazzato ma anche come ladro di pullman e dissacratore di quiete altrui. Girava col giradischi che, in ossequio al bianco-rosso-nero, gracchiava Giovinezza o Bandiera Rossa, a seconda di come lui s'alzava la mattina. Era, ovviamente, molto più d'un etichetta o d'un giudizio moralista e infinitamente più d'una diagnosi neuropsichiatrica.
Gaspare s'è spento giovedì 7 giugno all'ospedale di Circolo di Varese, dov'era arrivato per l'aggravarsi delle sue precarie condizioni di salute dalla sua "casa" di Besano, ovvero la residenza "Ai Pini" di cui da anni era ospite.
Era nato il 6 febbraio del 1924, in un'abitazione che rinfaccia il ristorante Bologna. Lui e suo fratello Alfredo erano figli di Umberto, arrivato a Varese da Camaiore con l'impiego di computista al Catasto. La mamma, Giannina Ermolli, era casalinga. Nei suoi ottantotto anni è stato cameriere d'hotel lussuosi e clochard per colpa del "vizio" come lui lo chiamava. Un vizio color rosso. Sul grigio della città, un tono di sanguigna vivacità che nessun moralismo, nessun grigio potrà cancellare.
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