CORONAVIRUS
«Dov’è il corpo di Gaia?»
La zia della giovane morta in clinica chiede chiarezza. L’istituto Maugeri: «È in carico alla Procura»
È trascorso più di un mese dalla morte di Gaia Contini ed è di ieri, venerdì 24 aprile, la rivelazione dolorosa della zia della ventisettenne uccisa dal coronavirus all’Istituto Maugeri di Veruno: «Non sappiamo dove sia il corpo di mia nipote. Nessuno ci dice nulla. Non abbiamo comunicazioni, non sappiamo se sia stata seppellita, non abbiamo un certificato di morte, voglio sapere dove sia finito il corpo di Gaia, dateci almeno la possibilità di darle l’addio», è l’appello di Silvana Vinci, che della giovane varesina era anche amministratrice di sostegno.
«Non abbiamo avuto la possibilità di starle vicini, di tenerle la mano, di darle l’ultimo saluto, di portarle un fiore, dateci questa opportunità. Sappiamo solo che l’autopsia è stata negata, niente di più».
I vertici del Maugeri hanno subito risposto: «La salma è a disposizione dell’autorità giudiziaria nella camera mortuaria dell’Istituto dove si trova da subito dopo il decesso».
Dunque, è la sintesi, toccherà all’avvocato Serena Gasperini, legale della famiglia di Gaia, interfacciarsi con la procura di Novara per avere spiegazioni. Ma è proprio di due giorni fa l’integrazione di consulenza tecnica inviata agli inquirenti da Barbara Balanzoni, medico chirurgo anestesista nominato come consulente di parte.
L’atto si conclude con un quesito irrisolto: «Non si comprende il motivo del rifiuto di eseguire l’autopsia sul cadavere di Gaia Contini, rifiuto che peraltro non ha alcun razionale scientifico».
Il clima surreale in cui vivono i parenti della ventisettenne peggiora di giorno in giorno. Gaia era ricoverata nella clinica del Novarese da settembre ed era in attesa di un trapianto dei polmoni, necessario per salvarsi dalla sclerosi tuberosa, malattia genetica degenerata in Lam.
Il 12 marzo l’Istituto chiuse le porte ai visitatori per evitare il contagio. Qualche giorno dopo la ragazza scrisse alla zia di avere la febbre alta. «Non detti peso alla sintomatologia in un primo momento, ma la situazione continuava a peggiorare. Ho cercato in tutti i modi di contattare i medici, non avevano mai tempo per me», ha spiegato Silvana ai carabinieri.
L’ultimo whatsapp inviato dalla giovane è del 17 marzo: «Ghiaccio in testa, febbre a 38...ho messo il cateterino, vanno di flebo». Il 19 una telefonata e poi il silenzio eterno. Il tampone, eseguito post mortem, ha dato esito positivo.
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