L’INTERVISTA
Crovi: «Camilleri e Argento innovatori del linguaggio»
Lo scrittore ieri a Varese: prima gli aneddoti sul papà di Montalbano. Poi dai... Goblin

Maglietta nera, con riferimento a un (profondo) rosso nella scritta Goblin. Così s’è presentato ieri, martedì 9 settembre, Luca Crovi per il suo doppio appuntamento varesino. Lo scrittore milanese, membro fra l’altro della giuria del Premio Chiara, all’Ubik di piazza Podestà per presentare il suo Camilleri, una storia (Salani editore), ha prima risposto alle domande di Emiliano Bezzon, dirigente della Cultura (era presente anche l’assessore Enzo Laforgia, ndr), scrittore a sua volta con la stessa passione noir. Non solo per il genere letterario, visto che la mise era la stessa: un inno ai Goblin di Claudio Simonetti, che ieri sera, dopo la prolusione dello stesso Crovi, ha fatto il pieno di pubblico suonando dal vivo la colonna sonora di Profondo rosso di Dario Argento, mentre il film inchiodava gli spettatori alle poltrone del MIV.
Quest’anno ricorrono i 100 anni di Camilleri e i 50 di Profondo rosso. Perché il padre di Montalbano e il regista romano hanno lasciato un segno così profondo?
«Entrambi hanno inciso in modo strutturale: Camilleri ha rifondato il poliziesco in chiave giallo mediterraneo, con oltre 30 milioni di copie vendute. Con Montalbano ha trasformato la Sicilia in un luogo narrativo eppure reale. Il vero scarto è stato però quello linguistico: ha inventato il vigatese reinventando il romanzo storico attraverso documenti e trattatistica: Camilleri amava Manzoni e in particolare la Storia della colonna infame. Argento, invece, ha modernizzato il thriller italiano: Profondo Rosso codifica le coreografie del delitto e inaugura un immaginario sonoro che diventa modello anche grazie alla colonna sonora dei Goblin di Claudio Simonetti, influenzando anche John Carpenter (Halloween, ndr). Mondi diversi, Camilleri e Argento ma la stessa forza di fondare una scuola e un’estetica riconoscibile anche all’estero».
Esiste oggi una scuola Camilleri che tenga insieme lingua, personaggi e territorio?
«Sì. E quest’eredita l’ha raccolta innanzitutto il suo editore, Sellerio, che ha saputo aprirsi a nuove voci come Santo Piazzese (finalista al Chiara 2024, ndr), Marco Malvaldi e Antonio Manzini. Quest’ultimo, suo allievo all’Accademia, fu il primo a leggere il manoscritto del debutto di Montalbano, segno di una trasmissione diretta di poetica e mestiere. L’eredità non è solo editoriale: è un metodo narrativo che ha dato identità al giallo italiano contemporaneo».
Camilleri è legato a Piero Chiara, non solo per la cifra narrativa. Ha ricevuto, infatti, l’omonimo Premio alla carriera nel 2010. Oggi il Premio Chiara, per motivi non solo anagrafici, sta vivendo una stagione complicata. Come uscirne?
«A Varese dovrebbero mobilitarsi sponsor e mecenati. Modelli come i Premi Strega e Nonino - sostenuti da imprese e fondazioni - indicano una via: partner radicati nel territorio per un rilancio stabile, perché il racconto breve resta una forma vitale della nostra narrativa».
Il suo nuovo romanzo può essere letto anche come una guida alla crisi che l’umanità sta vivendo a ogni latitudine.
«Non saprei ma l’intenzione è anche questa. Ne L’Aquila e i lupi ho provato a ridisegnare un affresco di guerre e pestilenze per mettere a confronto due giganti della Storia, quali Marco Aurelio e Galeno. Due razionalità apparentemente divergenti ma complementari nella crisi. Ho cercato di costruire un dialogo tra ragione e destino. Spero di aver reso uno specchio attuale per riflettere quel che siamo».
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