IL CARROCCIO
Da Bossi a Salvini: la Lega compie quarant’anni
Il 12 aprile 1984 la costituzione a Varese dal notaio. Retroscena dei personaggi. Sulla Prealpina in edicola oggi, venerdì 5 aprile, due pagine di approfondimento

I suoi primi quarant’anni. Col mito dell’eterna giovinezza. E un movimento - in senso di moto a luogo, non di formazione politica - più simile agli autoscontri che alla ruota panoramica. La Lega (con le varie denominazioni aggiunte e sottratte nel corso della sua storia) si volta indietro e vede gli albori: era il 12 aprile del 1984 quando Umberto Bossi, insieme ad altri, firmò nello studio notarile varesino Bellorini l’atto di costituzione. Primo nome: Lega Autonomista Lombarda. Da qui sarebbe derivata l’indicazione della Città Giardino come “culla del Carroccio”. Il primo sindaco leghista di Varese: Raimondo Fassa.
Varese. Già. La prima sezione comunale del Carroccio fu proprio Varese: era maggio 1990, il congresso federale aveva dato il via libera (prima era solo sezioni provinciali). Si ritrovarono in sei per l’istituzione: fu nominato segretario cittadino un giovanissimo Fabio Binelli.
È Bossi a formare, plasmare, far crescere la prima Lega. Con Giuseppe Leoni e Roberto Maroni.
Giuseppe Leoni. Già. Con lui il primo consigliere comunale a Palazzo Estense. Il discorso d’insediamento lo tenne in dialetto. E nel ‘90, quando il Carroccio portò in Consiglio a Varese ben nove eletti, Leoni, il Patriarca, convocò i debuttanti prima dell’esordio e li catechizzò, ordinando loro di fare tutti un intervento, per mettere subito sotto pressione l’allora governo cittadino.
In quarant’anni ne sono passati tanti di acqua e voti sotto i ponti. Il consenso ha toccato vette e precipizi, con andamento da elettrocardiogramma. La storia è nota. Merita di essere commentata, giudicata, mentre il vento del Nord vuole ancora soffiare sulle candeline dei compleanni. Il movimento autonomista, nemico della Roma dallo stomaco gonfio e avido, non c’è più. Oggi la Lega, che in Parlamento è Lega - Salvini Premier, si connota come partito nazionale. Un tempo le veniva rinfacciato dai rivali di essere interessata solo ai problemi del nord, quindi una sfasciapaese; ora, al suo interno, si levano voci che imputano a Salvini di aver snaturato il partito. E sono voci nitide, riconoscibili: quelle di due fondatori, Bossi e Leoni, il primo più cauto, il secondo diretto, senza giri di parole.
Umberto Bossi. Già. Al palazzetto di Varese, durante un comizio per le Politiche del ‘96, disse di temere frodi alle urne e che sarebbe stato pronto a far scattare una rivoluzione, con tutti i mezzi possibili. Si beccò un severo rimprovero dal Capo dello Stato.
È davvero snaturata oggi la Lega rispetto alle origini? In parte. La rotta intrapresa dal leader Matteo Salvini è stata quasi inevitabile. Il partito nordista rischiava di non portare a casa nulla di quelle che erano e sono le sue ambizioni primordiali. La devolution è scivolata a ridosso del traguardo.
La devolution. Già. C’è un curioso aneddoto che risale a uno scoop di Prealpina ripreso poi da tutti i giornali e le tv. Bossi era ricoverato all’ospedale di Circolo. Era il 26 marzo del 2004; le sue condizioni erano davvero critiche, tenuto in coma farmacologico. Marco Reguzzoni e un altro fedelissimo (il primo era l’unico del partito ad aver accesso alla stanza del paziente) portarono delle cuffiette e fecero ascoltare all’Umberto la registrazione dell’approvazione alla Camera della devolution. Bossi ebbe un sussulto.
Le varie bozze di riforma in chiave autonomista sono diventate fogli appallottolati e finiti nel cestino. Oggi, come partito nazionale, vede invece la prospettiva che la legge per l’autonomia differenziata metta qualche germoglio. Dopo quarant’anni anche questa è una constatazione. È chiaro che il Carroccio ha dovuto cambiare lessico, seppellire alcuni slogan (Roma ladrona per citare il più eclatante) e abbandonare qualche protesta (su tutte quella ai caselli autostradali). Il gioco è valso la candela?
La candela. Già. Era il 2 luglio del 2000, si giocava la finale dei Campionati europei di calcio e Bossi nei giorni precedenti aveva invitato a non tifare Italia e non guardare la partita. Quella sera aveva convocato un comizio-ritrovo ad Arcisate, in una zona un po’ dispersa, rurale. Dopo il discorso, la tavolata. Il senatùr si mise in fondo e siccome la luce delle lampadine volanti non arriva fin lì mangiò a lume di candela. E alla fine, col sigaro tra i denti, disse: “Va beh, dai ditemi che cosa sta facendo l’Italia, tanto lo so che vi state tutti informando”.
L’elettorato della Lega è cambiato? Quello delle prime ore era profondamente nordista, anti-meridione. Non razzista, non tutto, ma convinto che la Lombardia fosse davvero la gallina dalle uova d’oro, sfruttata da Roma e dal Sud, come ritratta in un manifesto stampato dal Carroccio. Pian piano, il consenso è poi cresciuto, la base si è allargata, e il concetto federalista, declinato anche dal professor Gianfranco Miglio, ha cominciato a sedurre l’elettorato più moderato. Tra alti e bassi elettorati, si arriva infine all’exploit delle Europee del 2019: 34,33%, primo partito in Italia. La base era dilatata ai massimi: votarono per il Carroccio dagli operai ai dirigenti d’azienda. Salvini, che aveva ereditato una Lega moribonda, travolta dagli scandali, stava compiendo un miracolo: moltiplicare pane e voti.
Salvini. Già. Il suo slogan contro i ladri, diventato virale, “se entri a casa mia, ti prendi il rischio di uscire orizzontale” lo pronunciò per la prima volta a Varese, dieci anni fa: un comizio in piazza Monte Grappa, si scagliò anche contro i «migranti messi in hotel con piscina», aggiungendo l’ironico ciumbia.
Dopo l’ascesa vertiginosa alle Europee, ecco la caduta a precipizio, fino all’attuale 8% delle Politiche 2022. C’è chi rumoreggia nella base, richiamando l’identità lasciata da Bossi.
Ancora Bossi. Già. Le prime riunioni della sezione di Varese erano avvolte nell’incertezza che il senatùr sbucasse da un momento all’altro, in tarda serata, nonostante gli impegni a Roma. In una di queste improvvisate, sbraitò coi presenti - lo sentirono in tutto il centro storico - perché un quadro con manifesto alla parete era storto. E disse che le sezioni sono sacre e vanno curate alla perfezione.
Quarant’anni insomma di Lega, che ha vinto, perso, attraversato bufere e goduto di sole pieno. Una cosa non è cambiata: mai doma. Come diceva Maroni: mai mulà.
Sulla Prealpina in edicola oggi, venerdì 5 aprile, due pagine di approfondimento.
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