SFIDE
Da Varese fino al tetto dell’Alaska
Nuova impresa del “ragno” David: l’alpinista trentaduenne racconta la spedizione sulla cima del Monte Denali

Dalle pendici del Campo dei Fiori fino alla cima del Denali, la montagna nel bel mezzo dell’Alaska che con i suoi quasi 6.200 metri detiene il primato di vetta più alta del Nord America. A rendere ancora più speciale l’impresa, il fatto di aver percorso una via che, da quando venne aperta trentatré anni fa, era stata completata soltanto da sette cordate in tutto e mai prima d’ora da italiani. La sfida, portata a termine da poco, è “targata” Varese. Sì perché la cordata era composta da Luca Moroni, ventiseienne di Malgesso, e dal varesino David Bacci. Trentadue anni, da un paio membro del gruppo dei “Ragni di Lecco” (vera e propria leggenda nel mondo dell’alpinismo internazionale), Bacci ha iniziato a scalare appena diciottenne, infilando poi una serie di imprese tra Pakistan, Patagonia e lo Yosemite, in California, in compagnia di Matteo Della Bordella, altro alpinista di fama internazionale, tra l’altro impegnato ora in una missione in Perù.
«Sono nato in Olanda ma vivo a Varese da quando avevo 8 anni – spiega David -. Ho studiato al liceo scientifico di Tradate, poi sono stato per tre anni a Maastricht, dove mi sono laureato, ma sono tornato a Varese perché mi mancava questa città». E anche i suoi monti che, sebbene non contemplino vette particolarmente impegnativi, hanno costituito un’ottima palestra quotidiana in vista di quest’impresa, nata sulla scorta delle letture di Jack London fatte da bambino. Dopo aver messo a segno una serie di importanti scalate, ecco la decisione di cimentarsi col Denali, il cui nome ufficiale fino a due anni fa era McKinley. «Tutti i giorni mi sono allenato in Martica o raggiungendo il Forte d’Orino – spiega l’atleta -, mentre nel weekend andavo a scalare in Ticino o in Val d’Ossola». Al termine di una lunga preparazione, alla fine di maggio Moroni e Bacci sono volati Oltreoceano, in Alaska, per affrontare la particolare sfida fin sul “tetto” degli Stati Uniti, percorrendo la cosiddetta “Diretta dei Cechi” aperta nel 1984 da tre alpinisti slovacchi e considerata la più complessa poiché la ritirata è pressoché impossibile: l’unica via d’uscita è la vetta, dopo aver scalato una parete alta tremila metri, che a sua volta si raggiunge dopo altre dieci ore di scalata.
Tra neve, temperature fino a meno 30 gradi, condizioni meteorologiche avverse e acclimatamento, i due atleti hanno dovuto fare i conti con difficoltà fisiche e psicologiche, arrivando a conquistare la cima tre settimane dopo il loro arrivo a Talkeetna, alle porte del grande parco nordamericano. «Il tempo era molto variabile, con nevicate improvvise fino a venti centimetri – racconta Bacci –, e c’erano ventiquattr’ore di luce: questo può essere un vantaggio perché si può scalare anche di notte, ma al tempo stesso bisogna stare attenti a non sprecare energie». L’assalto al tratto finale è stato portato a termine dopo una notte trascorsa in tenda a 5.600 metri di quota su uno sperone di roccia a picco sul vuoto, ormai senza più viveri, con braccia e gambe ulteriormente affaticate da una scalata di ventidue ore consecutive. Ma alla fine, ecco la vetta: «E’ stata una festa, un’emozione grandissima. Siamo stati davvero contentissimi».
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