L’ARTISTA
Dal degrado alla bellezza. Attraverso l’arte povera
L’esperienza del maestro Michelangelo Pistoletto. «Oggi costruiamo per costruire, così distruggiamo»

Michelangelo Pistoletto è uno dei più importanti artisti contemporanei italiani. Nato a Biella nel 1933, è noto per essere stato uno dei protagonisti dell’arte povera, un movimento artistico nato in Italia negli anni Sessanta che promuoveva l’uso di materiali semplici e quotidiani per sfidare le convenzioni artistiche tradizionali. Pistoletto ha sempre inteso l’arte come strumento di trasformazione sociale e ha creato in un ex lanificio la sua Cittadellarte.
Maestro Pistoletto, che significato ha per lei trasformare un edificio industriale dismesso?
«Ho sempre pensato che l’arte potesse volgere lo sguardo al futuro senza temere di guardare al passato. Ma questo passato, per me, emerge dal “quadro specchiante”, sono io ad aver creato i quadri specchianti. In essi si percepisce chiaramente che tutto ciò che si trova davanti a noi - il futuro - contiene in sé tutto ciò che ci sta alle spalle. E alle nostre spalle c’è tutto ciò che abbiamo fatto, da ieri fino a oggi. Siamo, dunque, nel presente attraverso il nostro passato».
Bisogna distruggere per creare?
«Oggi l’intelligenza umana ha sviluppato qualcosa di straordinario, capace tanto di generare una nuova, meravigliosa società, quanto di distruggere quella esistente. E questo lo stiamo già vedendo. Abbiamo da un lato la possibilità di creare qualcosa di meraviglioso, e dall’altro quella di annientare tutto ciò che abbiamo costruito finora. Ma esiste anche una forma di distruzione che continua mentre si costruisce: è la crescita dell’entropia legata alla cementificazione, alla superproduzione, che ha finito per superare - per volume e peso - la stessa natura, sia vegetale che animale. Stiamo letteralmente pietrificando il pianeta. Per questo, per me, era impensabile continuare a costruire ex novo. Ho voluto invece recuperare spazi già vissuti, svuotati, che oggi pesano fisicamente e simbolicamente».
Come racconta il recupero dell’ex lanificio?
«Nel vuoto degli edifici che ho acquisito nel 1991 e che da subito ho chiamato Cittadellarte ho trovato la possibilità di far precipitare tutti gli elementi che stavano fuori dalle mura. Lì c’è stata vita, poi la vita è scomparsa, ma io ho ridato vita a quello spazio già esistente, vissuto in passato, che ora rivive secondo un nuovo bisogno».
Ora gli spazi sono stati recuperati...
«Ed è in questo bisogno nuovo che recuperiamo spazio e creiamo una condizione di sostenibilità. Questo è ciò che significa sostenibilità: qualcosa che si perpetua senza degenerare. Noi stiamo invece vivendo la degenerazione. Ridonare vita a spazi già vissuti significa non far crescere ulteriormente qualcosa di artificiale e dannoso per la società. Ma si continua a costruire edifici, si costruisce per costruire. Stiamo distruggendo ciò che abbiamo realizzato e, allo stesso tempo, stiamo cercando di distruggere ciò che stiamo facendo».
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