STORIE DI MIGRANTI
Tre anni di odissea, dall’Iran all’Italia per fuggire dal marito violento
Il racconto del lungo peregrinare di Anna per mettersi in salvo. «Ho capito che non si sarebbe mai fermato, voleva sempre di più e una volta mi ha picchiata»

La storia di Anna è una storia di migrante, come purtroppo ce ne sono mille altre. Ma sentirla raccontare fa piangere e gioire, commuoversi e arrabbiarsi. Sorride con i suoi occhi neri grandi mentre guarda la piccola bimba che ha in braccio. È sua figlia. Sorride e prova a chiudere le cicatrici che la segnano dentro un animo buttato nella tempesta e poi risorto. La chiamiamo Anna perché preferisce non diffondere il suo nome. Ha ancora paura della polizia iraniana che potrebbe essere dappertutto e, oggi, con internet le informazioni viaggiano veloci. Abita sul lago di Lugano, dove l’abbiamo incontrata grazie al medico varesino Emanuela Dyrmishi. Anna sta con il compagno e la figlia che compirà un anno tra circa un mese.
LAUREA, MASTER E BUONA FAMIGLIA
«Sono nata nel sud-ovest dell’Iran. Sono la prima figlia di tre fratelli e avevo una vita economicamente tranquilla fino ai trent’anni. Mio padre era un manager di compagnia petrolifera, ora in pensione. Aveva anche altri business e stavamo bene. Viaggiavamo fuori dall’Iran e avevamo una bella macchina. Io ho conseguito una laurea e un master in agricoltura e in economia. Ho studiato la lingua inglese in Malesia per due anni. Non ho mai lavorato perché mio padre non mi ha mai dato il permesso. Mi diceva: perché vuoi lavorare? Se hai bisogno, io ti do tutti i soldi che ti servono. Ma io ho lavorato lo stesso senza il benestare di mio padre, facendo la barista o l’istruttrice di nuoto, anche in un negozio di vestiti. Mi sono sposata a 28 anni con un matrimonio deciso dalla mia famiglia. Mio padre mi ha detto che c’era un ragazzo perbene per me e io ho detto: andiamo avanti».
«SESSO NON CONSENZIENTE»
«Durante il mio fidanzamento quello che poi diventò mio marito era bravo e noi ci frequentavamo con le regole di mio padre: dovevo rientrare alle dieci sera, non potevo dormire con lui, non potevo viaggiare con lui. Dopo il matrimonio, però, ho capito che non andava bene e volevo separarmi. A un certo punto lui ha iniziato a diventare violento, a voler praticare sesso non consenziente. Non aveva nessuna sensibilità. E mi ricattava perché io avevo avuto dei rapporti sessuali con lui prima del matrimonio e lui diceva che l’avrebbe raccontato a tutti se l’avessi lasciato. Sarebbe stata una vergogna per me. Però ho capito che non si sarebbe mai fermato con la violenza, che voleva sempre di più e una volta mi ha picchiato. Ho detto: non ce la faccio più».
Anna racconta il suo lungo peregrinare prima di arrivare in Italia. I soldi, il passaporto, la prigione: «Correvamo in fila indiana e in Grecia mangiavo solo pomodori con le uova».
“Storie di migranti”: due pagine di approfondimento sulla Prealpina di venerdì 13 dicembre, in edicola e disponibile anche in edizione digitale.
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