IL RICORSO
Delitto Macchi, “congelato” il risarcimento a Binda. L’avvocato: «Accanimento»
La decisione della Corte d’Appello di Milano di “riparare” alla ingiusta detenzione con più di 300mila euro impugnata dalla Procura Generale milanese

«Nei confronti di Stefano Binda c’è un vero e proprio accanimento terapeutico. Non si può giocare con la vita delle persone in questo modo». È arrabbiata. Di più, arrabbiatissima l’avvocato Patrizia Esposito mentre commenta la scelta della Procura Generale e dell’Avvocatura dello Stato di ricorrere per Cassazione contro l’ordinanza del 12 ottobre scorso con la quale la quinta Corte d’Appello di Milano, accogliendo la richiesta di riparazione per ingiusta detenzione in favore di Stefano Binda.
RICHIESTA DI ANNULLAMENTO
Secondo i ricorsi della Procura Generale e dell’Avvocatura dello Stato, depostati entrambi il 26 ottobre, deve essere annullata senza se e senza ma la decisione della Corte d’Appello che aveva invece considerato equo riconoscere 303mila euro per i 1.286 giorni di ingiusta carcerazione preventiva patiti dal cinquantacinquenne di Brebbia, assolto in via definiva, dopo un lungo e accidentato iter giudiziario, dall’accusa di aver commesso l’efferato omicidio di Lidia Macchi, la ventenne studentessa universitaria di Casbeno il cui corpo fu trovato nei boschi di Cittiglio il 7 gennaio del 1987.
FACOLTA’ DI NON RISPONDERE
In estrema sintesi, i ricorrenti puntano l’indice contro «la scelta dell’allora indagato di essersi avvalso della facoltà di non rispondere» e di aver tenuto «una condotta mendace e reticente».
«E ora chissà quanto ci vorrà ancora prima che sia fissata l’udienza per la discussione dei ricorsi in Cassazione…», ha chiosato, masticando amaro, il legale che, assieme al collega Sergio Martelli, difende Binda.
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