L’ORA DELLA GIUSTIZIA
Delitto Macchi, via al processo
Prima udienza il 12 aprile. Duecento testimoni in lista. Citati anche religiosi, magistrati e amici della vittima

Un ex magistrato ed un ex sindaco. Avvocati e medici. Numerosi religiosi, militanti di Comunione e Liberazione, e altrettanti periti impegnati nelle indagini nell’immediatezza dei fatti e, in tempi più recenti, da quando cioè l’inchiesta sull’omicidio di Lidia Macchi è stata avocata dalla Procura Generale di Milano. Gli amici della ventenne studentessa di giurisprudenza di Casbeno, trovata morta al Sass Pinì la mattina del 7 gennaio di 30 anni fa, e i compagni del brebbiese Stefano Binda, 49 anni, in carcere dal gennaio 2016 con l’accusa di omicidio volontario.
È ricco e variegato l’elenco che emerge dalle tre liste testi fatte pervenire alla cancelleria della Corte d’Assise di Varese - in vista del processo al via mercoledì prossimo - dal sostituto procuratore generale di Milano Gemma Gualdi (che ha chiesto di sentire 86 testi); dai difensori dell’imputato, gli avvocati Sergio Martelli e Patrizia Esposito (100 i testi da loro proposti); e dall’avvocato Daniele Pizzi, patrono civile per conto della famiglia Macchi (283 i suoi testi).
Premesso che, in virtù di svariate sovrapposizioni di richieste, potrebbero essere potenzialmente sentite dal collegio presieduto dal giudice Orazio Muscato all’incirca 200 persone, spiccano alcune figure inaspettate: per esempio, la famiglia Macchi ha chiamato in causa l’ex giudice Ottavio D’Agostino (per raccontare la vicenda relativa alla distruzione dei vetrini contenenti il liquido seminale dell’assassino di Lidia); mentre i difensori dell’amico di Cl di Lidia hanno inserito tra i “propri” testimoni l’ex sindaco di Varese Attilio Fontana, all’epoca dei fatti pretore di Gavirate e l’allora primario di chirurgia di Cittiglio Enrico Guffanti, di turno il giorno della sparizione della ragazza.
Tra i religiosi, un po’ tutti hanno sollecitato l’audizione di Piergiorgio Bertoldi, attuale nunzio apostolico vaticano in Burkina Faso, amico di Binda e don Giuseppe Sotgiu (già ascoltato in sede di incidente probatorio); monsignor Marco Ballarini, all’epoca viceparroco di Brebbia e ora al lavoro presso la Veneranda Biblioteca Ambrosiana, le cui dichiarazioni sembrerebbero smontare in modo decisivo l’alibi di Binda il giorno del delitto; e don Antonio Costabile, responsabile degli scout di Varese sul quale si erano concentrati gli inquirenti nella primissima fase delle indagini (la cui posizione è stata archiviata dal sostituto pg di Milano Carmen Manfredda). Tra i testi citati figurano, infine, anche il difensore di Roberto Formigoni, l’avvocato varesino (con studio a Milano) Mario Brusa, all’epoca leader di Cl in Statale e organizzatore delle squadre di ricerca a Varese e dintorni; il suo collega di studio Paolo Tosoni, che avrebbe vissuto con Binda ai tempi dell’università, e la moglie di quest’ultimo, Maria Pia Telmon, una dei tre studenti che scoprirono il corpo di Lidia al Sass Pinì.
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