LIDIA MACCHI
Don Sotgiu: La lettera non è di Binda»
Nei verbali dell’interrogatorio le parole dell’ex amico davanti al gip tra tanti «non ricordo»

Un’infinità di «non ricordo». E alcune impressioni: quella della lettera «non mi sembra la grafia di Stefano Binda» e «poi comunque non è lo stile di Binda perché non scrive così». Inoltre, il componimento poetico anonimo al centro del caso Lidia Macchi «sicuramente è scritto da una persona di CL», ma «non è secondo me una poesia scritta da un omicida». Si tratterebbe invece dell’opera «di una persona di fede che cerca di consolare con la consolazione della fede la famiglia di Lidia». A dire tutto questo è stato don Giuseppe Sotgiu, nel corso dell’incidente probatorio del 15 febbraio 2016, disposto dal gip Anna Giorgetti nell’ambito del procedimento a carico di Stefano Binda per l’omicidio di Lidia Macchi del 5 gennaio 1987.
L’amico d’infanzia e di gioventù di Binda è stato interrogato dal gip, dal pm, che all’epoca era Carmen Manfredda, dal legale di parte civile, l’avvocato Daniele Pizzi, e dai difensori dell’imputato, l’avvocato Sergio Martelli e il collega Roberto Pasella, poi sostituito da Patrizia Esposito. E il verbale di quell’interrogatorio è prova a tutti gli effetti nel processo in corso davanti alla Corte d’Assise presieduta da Orazio Muscato (prossima udienza il 19 dicembre).
Alle domande don Sotgiu ha risposto decine di volte di non ricordare e questo gli è costato la trasmissione degli atti alla Procura da parte del gip e quindi l’iscrizione nel registro degli indagati per il reato di “reticente testimonianza”. Così, le parti più interessanti del suo interrogatorio, riportate in un verbale di poco meno di settanta pagine, sono quelle relative alla sua valutazioni sull’ormai famosa lettera anonima arrivata ai Macchi il giorno dei funerali di Lidia (per l’accusa l’autore è Binda, per questo anche autore del delitto). Don Sotgiu dice di aver fatto «l’ipotesi» che a scrivere la poesia fosse stato un altro giovane di CL (che per la sera dell’omicidio ha un alibi), e questo perché «la poesia è una poesia lineare e non rientra nello stile di Stefano: questi era più conciso, scriveva poesie ermetiche, mentre questa poesia è prolissa».
Inoltre, più avanti nell’interrogatorio, don Sotgiu aggiunge che la poesia, secondo lui, ha «molti riferimenti a un linguaggio tipico di CL, del fondatore di CL». Ma non si tratterebbe dello scritto di un assassino, piuttosto dell’espressione di concetti «legati a una teologia consolatoria», sempre «nell’ambito del pensiero di Comunione e Liberazione», con tutta una serie di immagini finali che indicherebbero «una speranza di fede, legata alla fede».
Altra questione: perché l’amicizia tra Giuseppe e Stefano finì? Don Sotgiu ha risposto che si sentì «tradito»: l’altro non gli aveva mai parlato dei suoi problemi con l’eroina e non «contraccambiava» il suo affetto, anche «per carattere».
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