L’APPROFONDIMENTO
Ergastolo per una telefonata
Tradita dalla chiamata intercontinentale del figlio: Melina Aita era sul luogo del delitto

C’è un elemento che incastra Melina Aita o che comunque potrebbe aver influito sulla decisione di condannarla all’ergastolo: è la telefonata che il 12 aprile del 2014 ricevette dal figlio emigrato in America. Erano le 18.58.
«Vuoi parlare con papà? È qua sul divano», disse la sessantanovenne ad Andrea. A quell’ora, quindi, non solo Nino Faraci era ancora vivo, ma Melina era in casa con lui. E se, come dimostrato dagli accertamenti tecnici, il vicino di casa sentì il trambusto alle 19.03 - dato che si desume dall’analisi del computer su cui stava lavorando - significa che la donna era presente al momento dell’aggressione, materialmente consumata dal presunto amante e dall’amico, entrambi tunisini e come lei condannati al fine pena mai.
Dunque la ricostruzione del delitto si delineerebbe così: una settimana buona di premeditazione, dimostrata dall’infittirsi delle comunicazioni tra lei e Bechir Baghouli, suo “concubino”.
Quel pomeriggio il perfezionamento del piano in stazione a Busto Arsizio. Alle 19 di quel giorno Melina aprì la porta a Bechir e a Slaheddine Ben’H Mida, lasciando che le massacrassero il marito settantatreenne a suon di coltellate e colpi in testa.
Una mattanza durata pochi minuti, poi i due andarono nel bagno al piano di sopra a lavarsi mentre la donna creava un finto disordine per inscenare una rapina finita tragicamente (non a caso è stata condannata anche per simulazione di reato). I due complici lasciarono la villetta di via Briante subito dopo (uno dei due non riaccese mai più il cellulare e anzi lo buttò via, l’altro si liberò dell’auto svendendola per poche centinaia di euro).
Melina invece rimase in casa altri otto minuti, durante i quali ripulì il bagno. Poi montò in macchina e si diresse dalla figlia a Fagnano Olona a velocità piuttosto sostenuta. Alle 19.34 le fece una telefonata.
Nell’abitazione di Antonia Faraci - compagna del pregiudicato Gennaro Accarino - restò fino alle 20.03. Il vicino di casa la sentì arrivare alle 20.25 e qualche istante dopo ne raccolse la richiesta di aiuto.
«Me l’hanno ammazzato», disse l’imputata. I carabinieri della compagnia di Gallarate la arrestarono il 19 aprile del 2014, in esecuzione di un’ordinanza chiesta dal pubblico ministero Rosaria Stagnaro. I tunisini lasciarono l’Italia, temendo che la Circe di via Briante facesse i loro nomi: Bechir atterrato in Tunisia venne portato in carcere per reati commessi nel suo paese. A richiesta dell’autorità giudiziaria di “restituirlo” agli inquirenti, nessuno mai rispose. Dell’amico invece neppure una labile traccia. Aspettative di ritrovarli, zero.
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