PROCESSO IN APPELLO
Ferno, dipendente infedele: condannato e licenziato
Accusato di aver sottratto 38mila euro di incassi alla ditta di spedizioni, nel Comasco, per cui lavorava

La pena è stata sì ridotta di sei mesi (in primo grado davanti al Tribunale di Como aveva preso due anni e otto mesi), ma comunque la Corte d’appello non ha concesso il beneficio della sospensione condizionale al dipendente di una ditta di trasporti e di spedizione di Cadorago, ma residente a Ferno, finito sotto processo per essersi intascato più di 38mila euro di incassi.
È stata la denuncia del titolare dell’azienda a smascherare il dipendente infedele, addetto all’incasso e al reperimento dei documenti di consegna. Il trentaseienne si occupava della gestione dei proventi - contanti e assegni - degli autotrasportatori che doveva successivamente depositare nelle casse della filiale. Aveva anche il compito di registrare tutte le consegne che erano state effettuate durante la giornata, nonché di gestire lo stato delle spedizioni.
Dai primi mesi del 2018, il direttore della filiale si era accorto che qualcosa non andava, troppi i buchi nelle casse. Dalle successive verifiche era emerso che, oltre agli ammanchi di contante, erano state annullate alcune spedizioni, che per questo motivo non risultavano registrate nel sistema informatico.
Per cercare di non essere sgamato l’imputato, accusato di furto aggravato, aveva adottato un sistema piuttosto subdolo, attraverso cui modificava il tracciamento delle spedizioni che venivano fatte sparire. Ci si era accorti perché le emittenti richiedevano il pagamento di spedizioni che non risultavano dal sistema.
Solo a quel punto era iniziato un controllo meticoloso delle spedizioni fittiziamente annullate che aveva portato alla contestazione degli addebiti all’unico soggetto preposto alla gestione dei proventi delle attività della sua filiale.
Per questo, nel febbraio del 2018, la direzione aveva chiesto conto al dipendente dell’accaduto e lui per tutta risposta aveva ammesso di aver sottratto 6 mila euro a casa di difficoltà economiche. Si era inoltre scusato e aveva promesso di restituire tutto entro l’estate successiva con la preghiera di mantenere il posto. I capi gli avevano creduto e, visto che sino a quel momento si era dimostrato sempre un ottimo lavoratore, gli avevano concesso un piano di rientro concordato, così da riparare il danno, senza per altro nessuna trattenuta sullo stipendio.
Tanta fiducia era risultata malriposta, perché il dipendente non solo non aveva rispettato il piano di rientro, ma era andato avanti imperterrito a sottrarre gli incassi. Di qui la lettera di licenziamento per giusta causa a fronte di un ammanco accertato che sfiorava i 39mila euro. Il giudice di primo grado ha posto l’accento sulla «pervicacia della condotta» del fernese, «espressione di un dolo particolarmente intenso».
Tra l’altro all’imputato, condannato al risarcimento di una provvisionale di 20mila euro in favore del titolare, è stata contestata una recidiva specifica reiterata. Ancora a detta del giudice, «l’atteggiamento del soggetto di non fornire spiegazione del proprio comportamento», se non un vago accenno a un presunto debito di droga da onorare, «induce a ritenere che le scuse inizialmente fornite fossero meri pretesti».
© Riproduzione Riservata