L’EX GOVERNATORE
Formigoni, cinque giorni al fine pena
Ma se vorrà candidarsi a cariche pubbliche prima dovrà chiedere la riabilitazione

È fissato per il prossimo 12 novembre, ossia tra cinque giorni, il “fine pena” per l’ex presidente della Lombardia Roberto Formigoni, che fu condannato in via definitiva a 5 anni e 10 mesi per corruzione per la nota vicenda Maugeri-San Raffaele e che nell’ottobre 2022 aveva ottenuto l’affidamento in prova ai servizi sociali con lo svolgimento di “attività di volontariato”, ossia corsi di lingua italiana per le suore straniere che accudiscono gli anziani all’Istituto Piccolo Cottolengo-Don Orione di Milano.
Dopo il “fine pena“, però, passerà ancora qualche settimana: il Tribunale di Sorveglianza di Milano, infatti, potrà dichiarare l’estinzione effettiva della pena (probabilmente all’inizio del prossimo anno), dopo aver valutato la relazione prevista dell’Ufficio esecuzione penale esterna, che dovrà essere consegnata ai giudici. Una relazione sul periodo di affidamento in prova: se andrà tutto bene per Formigoni arriverà l’estinzione della pena.
Per cancellare, però, le cosiddette pene accessorie, come l’interdizione dai pubblici uffici (che non permette, ad esempio, una candidatura alle elezioni), l’ex Governatore lombardo dovrà chiedere, poi, ai giudici della sorveglianza la riabilitazione, come fece e ottenne all’epoca Silvio Berlusconi.
Il reinserimento sociale di Formigoni - avevano scritto i giudici poco più di un anno fa - poteva proseguire con la misura dell’affidamento in prova», ben più idonea tenuto conto del buon percorso di recupero da lui intrapreso fuori dal carcere, della “revisione critica“, dell’assenza di pericolosità sociale e dei suoi solidi riferimenti anche relazionali e amicali.
Nel febbraio 2019, dopo il verdetto definitivo della Cassazione, il “Celeste”, che ha 76 anni, era entrato a Bollate a seguito dell’ordine di carcerazione firmato dalla Procura generale. La difesa aveva chiesto subito la sospensione del provvedimento e la possibilità di scontare la condanna in detenzione domiciliare, in quanto la legge “spazzacorrotti”, che lo impedisce per quel reato, era entrata in vigore dopo i fatti contestati all’ex presidente lombardo e, secondo la difesa, non poteva avere valore retroattivo.
Dopo circa 5 mesi di carcere, il 22 luglio 2019 la Sorveglianza (presidente Giovanna Di Rosa) aveva detto sì ai domiciliari sulla base del fatto che sussisteva il requisito della collaborazione impossibile: l’ex Governatore, che si è sempre professato innocente, non poteva più collaborare per svelare ulteriori dettagli sul caso Maugeri. Un requisito che ha permesso ai giudici di aggirare la “spazzacorrotti” concedendo all’ormai ex politico di uscire dal carcere. Formigoni ha presentato, infine, l’istanza per l’affidamento nell’autunno 2020 quando la pena da scontare era scesa sotto i 4 anni.
I giudici hanno apprezzato nell’ultimo provvedimento il “basso profilo” da lui tenuto con gli altri detenuti quando era in carcere. E il fatto che, sollecitato a comprendere e contestualizzare i fatti, aveva «riletto la sua vicenda comprendendone gli sbagli».
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