ACCUMULATORE SERIALE
«Svuoto la casa, mi serve il mezzo»
Enrico spiega perché in via dei Celsi c’è il caos e racconta la sua vita

In via dei Celsi abita lui. All’anagrafe si chiama Enrico Rocca, classe 1940 (5 dicembre, Cunardo). Se gli fai troppe domande, si arrabbia. «Noooo, non ti rispondo».
Poi si calma. Figurarsi a chiedergli di fare piazza pulita nella sua casa dove sono ammassati vestiti vecchi, mobili rotti, biciclette disfate, bancali smontati e pareti annerite. «Sì, sì, va bene», ti dice piano. Poi giù un altro grido: «Non voglio». Si tranquillizza un’altra volta: «E ma io non c’ho il mezzo. Ce l’ho già detto al mio nipote che viene lui a darmi una mano».
Nel giro di un secondo il sorriso si trasforma in incazzatura. Ma gli passa subito. S’illumina quando gli fanno un regalo: «Eccola, questa è per te». E’ una fisarmonica. Non nuovissima ma «da revisionare», dice lui. E chiacchiera.
A modo suo, perché un dialogo con lui è fatto di continue pause, gesti, sguardi, alti e bassi. Finché non si stanca, si alza e dice: «Basta, vado via».
Quando va a Sesto tutti lo conoscono
Enrico ha lo sguardo sincero anche se diffidente. Barba, baffi e un dente che gli sbuca da sotto quando parla. Gli occhi sono lì che ti scrutano, le rughe non tantissime sul volto ma le dite nodose. Un cappellino, un pastrano e via sulla bicicletta. Quante ne hai di biciclette? «Ooooh», ti risponde. «Vado a Sesto, a Samarate, a Lonate, a Ferno. Tutti mi conoscono. C’ho la zia a Sesto. E c’ho lì la canna. Io pesco, cosa credi? C’ho il mulinello ma uso anche la fissa. Vado giù in bici a trovare la mia zia. L’altro giorno volevo prendere due ghiaccioli ma non me li hanno dati». Le frasi non è che siano sempre connesse le une con le altre, ma il significato si capisce. E vale la pena ascoltare Enrico, perché apre un mondo.
Innamorato della fisarmonica Stradella
«Io la so suonare la fisarmonica – spiega mentre armeggia con lo strumento – sono andato dal Bonicalzi a Cardano a studiare musica. Io gli portavo il latte e lui mi faceva scuola alla sera. Mia mamma mi ha comprato una 120 nuova, marca Stradella. Usti che bella. Quando aveva un vitello, la mia mamma, chiamava il macellaio. E con quei soldi mi ha comprato la fisarmonica e anche le palmerine (biciclette, ndr)».
Ma queste sono storie di tanti anni fa, adesso Enrico ammette con candore: «Le bici? Tutte quelle che sono in giro, salto su e vado. Poi le aggiusto a martellate.
Ne desfo una e ne monto un’altra. Cosa faccio tutto il giorno? Niente, il vagabondo.
Porto a casa i bancali del Carreflù e tiro fuori i chiodi».
Tempra forte, genitori della Valtellina
Tempra forte quella di Enrico. I suoi genitori sono originari della Valtellina, lui è nato a Cunardo. «Eravamo in otto: quattro maschi e quattro femmine. Mio fratello faceva il muratore. Io pascolavo le pecore e le mucche in autunno, quelle della mia mamma. Poi lavoravo in fabbrica. L’ho fatto per trent’anni. Milano-Rho, avanti e indietro, sempre turni. E adesso? Il Piave mormorò. Siamo rimasti solo io e mia sorella».
Tira fuori un piccolo portafoglio dalla tasca, ci sono dentro alcune tessere, quella della Fidaty per il supermercato e il codice fiscale. «Giochiamo a scopa?», fa cenno. Poi si ferma, cambia umore e racconta: «Da piccolo pascolavo le pecore, sono cascato dentro in un fiume, le pecore sono scappate e io sono rimasto lì. C’era il figlio di un dottore a pescare, la corrente mi portava, ha buttato via la canna e mi ha preso, mi ha salvato la vita. Adesso c’ho paura: quando vedo l’acqua, scappo». E mima il gesto della fuga.
Le ferite provocate dall’incendio
La fisarmonica è la sua passione. «Anche a militare ho suonato, tutti i cambi di voce di qua e di là. Ma a questa fisarmonica bisogna fare la revisione. Senti il valzer, senti il tango. Questa è una 80, io ero abituato alla 120. Silensio, però, senti che suoni». La sua è andata distrutta nell’incendio scoppiato in casa che ha reso inservibile il primo piano. Ma Enrico se ne frega, ci abita lo stesso. «E’ bruciato tutto – ricorda - il pendolo, il cucù, i divani, le sedie e la televisione ha fatto pumpete. Le fiamme sono andate dentro la corrente. Qui sono arrivate due camionette dei pompieri. E’ già qualche anno che è successo. Se l’assicurazione mi dava qualcosa, l’avrei già aggiustata la mia casa. Non mi ha dato niente. E io per puntiglio: lasciala lì. E’ mia la casa. Guai a chi la tocca. D’inverno per scaldarmi metto su una bella coperta e dormo. Il mangiare me lo faccio io: il pane, un po’ di formaggio. Eh sì, adesso però bisognerebbe metterla a posto», pare convinto. Enrico, dai, a settantasette anni puoi ancora cambiare vita, perché non è giusto che continui a stare lì dentro. «Vediamo, sì vediamo». E se ne va sulla sua bicicletta, tira giù il cappello sugli occhi e parte. Ha i bancali da disfare, le bici da smontare.
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