MUSICA E PASSIONE
Gallarate, Genova, Salerno: il triangolo di vinile
L’entusiasmo di Balduzzi, il baluardo del rock

«Come da Carù, anche qui non troverete mai nulla di Laura Pausini. Non l’unico punto in comune che avevamo con Paolo. Del resto i negozi di dischi più longevi d’Italia sono quello di Gallarate, il nostro e il Disclan di Salerno».
Nel suo Disco Club, nella città dal centro storico più grande d’Europa, Giancarlo Balduzzi, classe 1947, ha lo stesso entusiasmo del primo giorno.
«In realtà - spiega - l’inaugurazione, il 19 dicembre 1965, la disertai per andare allo stadio a vedere la Sampdoria. Giocammo contro la grande Inter e non finì per niente bene». Dapprima solo cliente del negozio, poi coinvolto direttamente senza lasciare il posto in banca, Balduzzi s’innamora, ricambiato, della commessa, si sposano. Temendo che la donna resti incinta, il titolare la licenzia. Se ne va anche Gian, si ripresenterà qualche anno dopo, libero dal lavoro salariato, per diventare proprietario del Disco Club.
«Una bella storia - osserva - ma anche quella del Disclan non scherza. L’hanno aperto prima di noi grazie a Luciano Maysse, vincitore de Il Musichiere, il popolare programma presentato da Mario Riva sulla Rai, allora con un unico canale, alla fine degli Anni Cinquanta».
Gallarate, Genova e Salerno, triangolo storico del rock?
«Al momento sì ma a lungo in tanti invidiavano la Casa del Disco di Varese perché un negozio di dischi, di soli dischi, oltretutto un bel negozio, non è che lo si trovasse proprio in ogni città. Il proprietario di quel posto durante l’era d’oro di dischi e cd, Gege Patrucco, l’ho conosciuto ad Arenzano per via di amicizie in comune. Non mi sono mai complimentato, frenato forse dal fatto di saperlo interista. Dapprima perché non ho mai dimenticato la loro manita quel giorno a Marassi, poi per non infierire ricordandogli che nel 1991 la Samp conquistò lo scudetto, battendoli a San Siro».
Legato al rock quanto Paolo Carù «ma al contrario di lui più inglese che americano», Balduzzi gode fama di essere altrettanto severo del gallaratese con chi si azzarda a chiedere dischi contrari alla sua etica, Laura Pausini e Pupo in testa.
«Gentile ma fermo», assicura. Sull’album più venduto in assoluto non ha dubbi, «di gran lunga The dark side of the moon dei Pink Floyd».
Figlio di una città che tanto ha dato alla canzone d’autore come al progressive, compagno di testata, Pop Record, di Enrico Ghezzi, ha vissuto in prima persona i tanti cambi di passo del mercato discografico, compresa «la scoperta del vinile e del sound Anni 70 da parte dei giovani durante il periodo del Covid».
Tutto scritto in un libro, Il mondo visto da Disco Club. Sul retro di copertina, accanto alla sua foto, una frase: «Lo so, non conosci nessuno dei nomi nell’indice ma è proprio per questo che sono ancora aperto».
Un diario di bordo con ricordi importanti - l’arrivo dello scrittore Nick Horby, autore di Alta fedeltà, romanzo ambientato in un negozio di vinili, e di Febbre a 90’, dedicato all’Arsenal ma con omaggio al blucerchiato Attilio Lombardo - aneddoti divertenti (una sorta di Io speriamo che me la cavodei clienti occasionali) e testimonianze di collaboratori e clienti speciali. Spazio infatti a chi giudica l’area degli scaffali non solo come punto vendita ma quale luogo di confronto.
In pratica come se Gege, Teresa e Gaia negli Anni Novanta avessero scritto con Rocco Cosentino e Massimo Bruno un libro riservando qualche pagina al Caccia, a Zanzara, al dylaniano Mauro o ai Beraldo Bros. Giusto alcuni degli animatoridi quel circolo di idee all’ombra del Garibaldino.
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