LE MOTIVAZIONI
«Caianiello era il grande burattinaio»
Il Riesame spiega il respingimento dei ricorsi presentati dai legali del “mullah”

Nino Caianiello, il presunto «burattinaio» finito in carcere col blitz della Dda di Milano del 7 maggio scorso, «era una figura di assoluto rilievo della compagine» di Forza Italia, «non solo nella provincia di Varese» ma «in Lombardia», e negli «ultimi 10 anni aveva creato un radicato sistema clientelare» con la «sua concreta possibilità di influire sull’esito delle campagne elettorali dei candidati politici locali».
Lo scrive il Tribunale del Riesame milanese, presieduto da Cesare Tacconi, nelle prime motivazioni depositate di una delle tante decisioni con cui, nelle scorse settimane, sono stati respinti i ricorsi degli arrestati (43 le misure cautelari), tra cui anche quello dell’ex vice coordinatore lombardo di FI Pietro Tatarella.
Nelle motivazioni, che confermano il quadro dell’inchiesta dei pm Bonardi, Furno e Scudieri e la competenza di Milano a indagare, i giudici spiegano che Caianiello disponeva di un «vasto bacino di voti» e che l’associazione a delinquere era in grado di «penetrare nelle strutture societarie pubbliche».
Nella trentina di pagine di motivazioni i giudici, oltre a spiegare nel dettaglio perché hanno respinto il ricorso di Stefano Besani, avvocato finito ai domiciliari per una presunta corruzione, tracciano il quadro della «cricca», guidata da Caianiello, che si sarebbe occupata, allo stesso tempo, di un giro di mazzette, appalti e nomine pilotate e finanziamenti illeciti alla politica (pende alla Camera anche la richiesta di arresto del deputato di FI Diego Sozzani).
Caianiello, scrivono i giudici, «aveva la funzione di trait d’union tra l’area della provincia di Varese e quella milanese», perché rappresentava anche per i «sodali milanesi» il «ruolo di fondamentale garante della realizzabilità di progetti criminosi e delle occasioni di illecito guadagno».
E le indagini «hanno dimostrato la sussistenza» di «intrecci e avvicendamenti operativi tra l’associazione capeggiata da Caianiello» e quella guidata dall’imprenditore Daniele D’Alfonso della Ecol-service, finito in carcere anche con l’accusa di aver favorito una cosca della ‘ndrangheta.
Caianiello era anche «il raccordo con gli esponenti regionali e provinciali del mondo politico e delle istituzioni» e «di fatto» esercitava «funzioni pubbliche» in tutte le “più importanti società partecipate della provincia di Varese».
I giudici mettono in luce anche come il presunto «burattinaio» nelle Regionali lombarde del 2018 sia riuscito «a far eleggere al Consiglio regionale» un «giovanissimo candidato di sua strettissima fiducia, Angelo Palumbo, facendogli peraltro ottenere successivamente anche la Presidenza di un’importante commissione consiliare (quella dell’Agricoltura), attivandosi anche per il finanziamento illecito della sua campagna elettorale».
Gli «uomini giusti al posto giusto», scrive ancora il Riesame, garantivano «ai due sodalizi, in sinergica collaborazione e in modo trasversale, benefici e arricchimento».
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