LA VISITA
Suicidio all’ospedale: «Serve sicurezza»
Il direttore generale dell’Asst Valle Olona al Pronto soccorso di Gallarate: «Noi siamo qui. E iniziamo subito a fare qualcosa»

Scossi ma al loro posto. Così oggi, verso mezzogiorno, i dipendenti del Pronto soccorso dell’ospedale Sant’Antonio Abate di Gallarate, hanno accolto la visita del direttore generale dell’Asst Valle Olona, Eugenio Porfido.
Una visita non annunciata ma inevitabile alla luce della tragedia compiutasi ieri sera, martedì 22 gennaio, quando un paziente trentenne, tossicodipendente, ricevuto un codice bianco per un malore, ha lasciato il reparto ed è salito fino al quinto piano dell’edificio per poi lanciarsi nel vuoto.
Letale, per lui, il volo sull’asfalto di un cortiletto di servizio, dove oggi rose bianche e rosse, insieme con lumini accesi, restano a testimoniare la tragedia.
I segni dell’aggressione fisica al personale - e a un’infermiera in particolare, rimasta comunque al proprio posto - e quelli al reparto, si percepiscono invece negli sguardi di medici e infermieri che, insieme col direttore di presidio, Roberto Gelmi, hanno spiegato al loro nuovo direttore generale che se il gravissimo fatto accaduto ieri è un’eccezione, gli episodi d’insofferenza e d’intolleranza dei pazienti e dei loro famigliari in attesa, sono in netta crescita.
Come la settimana scorsa, quando un anziano spazientito ha cominciato a prendere a pugni la vetrata del Triage.
«Videosorveglianza, protezione del banco del ricevimento e presenza di guardie giurate sono - stando al personale - deterrenti a esplosioni di rabbia che rischiano di sfociare anche in aggressioni fisiche nei confronti di chi lavora al Pronto soccorso».
Il clima d’assedio si percepisce e lo stesso Porfido ha esordito, per tranquillizzare i dipendenti, con una frase che vuole accorciare l’eventuale percezione della distanza tra vertici ospedalieri e personale: «Noi siamo qui. E iniziamo da subito a fare qualcosa».
Un modo per testimoniare innanzitutto la solidarietà a chi, suo malgrado, ha subito un’aggressione sul posto di lavoro. Ma soprattutto un impegno preso di persona per restituire le condizioni minime di sicurezza per operatori e pazienti, ieri sera chiusi dentro un reparto in cui sei-sette persone, famigliari e amici della vittima, hanno scatenato la rabbia del proprio inconsolabile dolore, contro chi non ha potuto - né avrebbe potuto - trattenere un uomo, per di più in codice bianco, dall’allontanarsi dalla sala d’attesa.
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