ACCOGLIENZA
«I migranti sono anche un business»
«Però non fateci passare per i cattivi». Parla il direttore di KB: profitto di 2 milioni l’anno, ne vorrei donare il 70% ma i Comuni rifiutano

Il palazzo dei migranti di via dei Mille è una polveriera. La KB Srl che ne gestisce i 200 inquilini (ma anche gli altri 500 di Samarate, Gallarate, Fagnano Olona, Gorla Minore e Somma Lombardo) è perennemente sotto accusa. Su tutti Roberto Garavello, direttore generale, che assieme alla moglie Katiusha Balansino (lei, appunto, è KB) ha avviato l’operazione di ospitalità.
Garavello, ancora una volta c’è stata una protesta seguita da tante polemiche. Come mai?
«L’avete scritto: tutto parte dalle carte d’identità che non arrivano (anche se noi abbiamo fatto tutto quello serve da tempo per gli aventi diritto) e dalle lungaggini sulle domande di asilo».
Insomma voi non siete colpevoli?
«Ad oggi prefettura, questura e Ats non hanno segnalato particolari manchevolezze nostre».
Quindi è la politica che soffia sul fuoco?
«Non lo so, io non faccio politica. Oltretutto ci vogliono cacciare ma è stranoto che noi aspettiamo che qualcuno venga a sostituirci. Però non si fa avanti nessuno. Mi piacerebbe solo che le critiche arrivassero da chi conosce e ha approfondito il tema, con dichiarazioni consone al compito che abbiamo assunto firmando una convenzione con il ministero».
I vostri bilanci sono pubblici e dicono che guadagnate un paio di milioni l’anno...
«È vero, vorrei però precisare che i soci della KB hanno deliberato da tempo di utilizzare il 70 per cento degli utili, quindi un milione e mezzo di euro, per iniziative sul territorio a favore degli stessi migranti o di parti sociali».
Ebbene che fate?
«In parte sono stati utilizzati per acquisire un’area di via Doria a Gallarate per fare un centro di formazione sfumato per l’intervento del sindaco, in parte sono stati offerti al Comune di Gorla Minore che cercava 25mila euro per stampare un libro storico ma il primo cittadino li ha rifiutati, inoltre ci siamo proposti di comprare la Ticinella da Enel a Somma Lombardo però, dopo la valutazione della struttura e l’affermazione del sindaco secondo cui era preferibile pensare a quel luogo per i sommesi, abbiamo abbandonato l’idea. E il generale La Stella che collabora con noi ha più e più volte offerto ad amministrazioni la disponibilità a donare del volgar denaro per riparare strade, rifare parchi e riassaltare marciapiedi, ma a tutt’oggi nessun sindaco si è fatto avanti. Questa è la vita e la verità».
Così vi ritrovate costretti a tenere i soldi. Scusi Garavello, ma sembra una barzelletta...
«Noi siamo sempre qui. Con un paio di municipi stiamo trattando progetti simili e magari le cose andranno diversamente. Però, siccome l’accusa è che speculiamo sui profughi, si sappia che è nove mesi che siamo provando a investire in opere sociali e nessuno vuole il denaro».
Non sarebbe più giusto investirli nei progetti per gli stranieri?
«Ma ditemi cosa facciamo mancar loro».
Eppure gli ospiti si lamentano spesso...
«Ad esempio?»
Ad esempio sulla qualità del cibo. Che dice?
«Dico che a Busto ci sono cinque etnie e ciascuna, dialogando con il fornitore, sceglie le pietanze che preferisce che arrivano in alternanza durante la settimana. Può capitare che un giorno al gruppo A non piaccia quello che ordina il gruppo B, e il giorno dopo viceversa. Ma sarebbe questo il problema?».
E per quanto riguarda gli orari di uscita?
«Non sono il cattivo che impone chissà cosa. Il regolamento emesso da prefettura e ministero, per ovvi motivi di sicurezza, prevede che dalle 22 alle 8 stiano all’interno del centro».
Poi c’è il guaio del sovraffollamento...
«L’Asl, almeno sette volte, è venuta a verificare le cose senza rilevare il superamento dei parametri. E comunque, da quel che ho capito da un prefetto bravo e attendo, c’è l’intendimento di scendere numericamente sulle presenze a Busto».
Intanto però apre il centro di Lonate?
«Non ci sono ancora disposizioni in merito».
È vero che i rifugiati non la vedono mai?
«Ho 64 anni, vivo sei mesi l’anno all’estero, sono in pensione, nella società mi occupo di alcuni aspetti da direttore e i rapporti sono delegati al responsabile del centro, a sei psicologhe, 32 mediatori culturali, 4 medici e 2 infermiere. E comunque, al momento dell’arrivo in struttura, a ogni migrante viene consegnato il regolamento su cui a pagina 5, a caratteri cubitali, c’è il mio numero di telefono. Non credo sia umanamente possibile per me parlare con 670 persone e non avrei la competenza per certe necessità».
Intanto però le proteste e la tensione ci sono. A questo punto come se ne esce?
«La situazione la stanno seguendo prefetto e questore. Sta a loro prendere le scelte adeguate e senz’altro lo faranno. Io posso solo rinnovare a Comuni, associazioni e cooperative che volessero prendere il nostro posto, l’invito a farsi avanti nelle sedi opportune».
Intanto però il numero dei richiedenti asilo destinati alla vostra KB è destinato a sfondare il muro degli attuali 700?
«Ad esser precisi, in questo momento sono 670. L’intendimento, che ribadiamo da mesi e mesi, è di alleggerire progressivamente l’impegno, sperando che le azioni del ministro Minniti funzionino e non ci siano ulteriori e massicci sbarchi».
Però lo ammette che è valsa economicamente la pena a buttarsi in questo settore?
«L’investimento è stato ben ripagato».
Fanno bene, allora, a chiamarlo business?
«E chi ha mai detto che non lo sia?».
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