IL PROTAGONISTA
Il ciclismo pulito di Alafaci
Il corridore della Trek Factory Racing verso la nuova stagione: "Il doping? La cultura nel gruppo è cambiata. Ma vorrei multe salate e radiazione per chi sgarra". "Avrò maggiori opportunità dalla squadra. Il sogno è la Milano-Sanremo"

Eugenio Alafaci, talento carnaghese del team Trek Factory Racing si
racconta alla vigilia della nuova stagione. Dopo il Giro d'Italia 2014, il
ventiquattrenne è pronto al salto di qualità: davanti a sè una stagione in cui
potrà essere assoluto protagonista.
Finisce il 2014, I momenti migliori quali sono stati?
«Il primo momento
che mi viene in mente è il debutto in Argentina a Saint Louis, la prima gara
nel World Tour: è stato bello arrivare
lì una settimana prima per vivere i paesaggi e la loro cultura. Poi, la prima
gara dell'anno ha sempre un fascino particolare. Poi l'Eroica, che mi è sempre
piaciuta molto anche da dilettante: da pro è stupenda. Della Milano-Sanremo ho
dei bei ricordi che porto dentro, anche se per colpa del meteo non c'era
tantissimo pubblico quanto una Milano-Sanremo merita. E poi il giro. Con il suo
pubblico nelle grandi salite. Lo Zoncolan è stata la tappa più bella, il Giro era
finito e quando mi sono messo ad impennare (cinque in tutto) sono impazziti».
Si parte per la Spagna, inizia la preparazione.
«Andiamo nella zona di Calpe, vicino Alicante. Staremo lì
undici giorni, fino al 19 dicembre. Si va sulla costa dove il meteo è sempre
favorevole, 20 gradi, difficile che piova: l'ideale per
fare il lavoro che si fa in questo periodo dell'anno. Le strade, poi, sono poco
trafficate. Sono in molti a scegliere questa zona, quasi tutte le squadre vanno
lì, l'anno scorso ad esempio c'era il Team Omega, Astana e molti altri. Penso
sia lo stesso quest'anno. Non ci saranno lavori specifici se non un po'
di potenziamento in qualche salita, ma la cosa più importante è quella di
passare tante ore di sella, 4, 5, 6 al giorno. Di solito si lavora a
triplette, vale a dire fare
tre giorni di lunghe pedalate con un giorno di recupero per poi cominciare di nuovo con un'altra tripletta. Saremo in 27
corridori, cioè tutta la squadra. Più i 50 uomini dello staff tra massaggiatori
e meccanici. La squadra è la stessa dell'anno scorso con qualche innesto: ci
sarà un nuovo ragazzo italiano, Marco Coledan, poi Bauke Mollema e il nuovo entrato Geert
Steegmans».
La stagione inizia presto, qual
è l'obiettivo delle prime gare?
«L' 8 gennaio partirò per l'Australia per il Down Under che
sarà la prima corsa dell'anno, (17-25) e sarà molto importante perché
gara di livello Pro Tour. Staremo via tutto il mese e voleremo direttamente negli Emirati. Qui
correrò il Giro di Dubai per poi rientrare in Italia verso il 10 febbraio.
15-20 giorni di pausa, poi inizierà il calendario europeo con le prime gare in
Francia e in Belgio. Poi, in teoria c'è l'opzione per fare o la Parigi-Nizza o
il trittico Camaiore - Eroica e Nobili qui in Italia, per poi prepararmi alla
Milano-Sanremo. Dopo le classiche ci sarà un periodo di riposo e il ritiro
in altura per poi riprendere con il Giro di Romandia in Svizzera e il Giro
d'Italia. Questo è il programma che abbiamo discusso, dopo il giro si vedrà. L'obiettivo per le prime gare, con una squadra
improntata per fare la gamba, non sarà quello di vincere. Non
diventeremo infatti matti con la preparazione per arrivare al top in
Australia anche perché lì, il nostro uomo
di classifica sarà un corridore locale che arriva dalla mountain bike, uno dei
migliori al mondo, che farà di tutto per fare bene in classifica e lavoreremo per
lui. Con Giacomo Nizzolo si farà un lavoro per le volate. L'obiettivo principale è di arrivare dopo Dubai in
una condizione tale per far bene tutto il calendario europeo, soprattutto nelle
gare in Francia per arrivare al top alla Milano-Sanremo. Per quanto riguarda il
mio ruolo, sono rimasto contentissimo dall'ultimo meeting con i direttori
sportivi: hanno riconosciuto in me un grande lavoro e sono entusiasti.
La cosa positiva che mi ha dato tanta grinta - anche nell'allenarmi - è il fatto che loro hanno
riconosciuto in me un potenziale che nell'ultimo anno è stato sfruttato per
la maggior parte del tempo come aiuto per gli altri, mentre ora vogliono darmi i miei spazi per
provare ad ottenere dei risultati. Loro ci credono come ci credo anche io. Ovviamente cercherò di togliermi qualche soddisfazione».
Ciclismo italiano: è dal 2008 che non si vincono le classiche
monumento, l'ultimo è stato Cunego al Lombardia del 2008. Mancano i talenti?
«Secondo me c'e stato un periodo in cui il ciclismo italiano
giovanile è venuto un po' a mancare, guardando da Bettini a Rebellin in poi,
fino ad arrivare alla mia generazione, le annate di metà anni 80 non hanno
sfornato molti grandi corridori in Italia. Dalla mia sono convinto che la
nostra generazione tra qualche anno potrà giocarsi tante carte con tanti
corridori sia per le corse a tappe, come ad esempio Fabio Aru, sia per le classiche: sono convinto che tra qualche anno il livello
tornerà molto alto. E gli italiani torneranno a vincere le classiche monumento».
Forse troppa esasperazione da dilettanti, forse. Si arriva spremuti
alla categoria maggiore?
«Si. Secondo me in Italia i dilettanti vengono spremuti
troppo. Io essendoci passato, penso di aver fatto troppi e tanti allenamenti
quasi inutili. Basti pensare che io inizio a correre tra un mese e mezzo eho
appena iniziato la preparazione: nello stesso momento, ci sono
dilettanti che sono in giro a fare le stesse ore che faccio io in bicicletta
quando la loro stagionecomincia agli inizi di marzo. Se sei giovane puoi risparmiarti di più: la differenza che ho trovato con il
team Leopard Continental due anni fa, è la mentalità. Nei mesi invernali si fa attività per divertimento. Se piove o nevica non si
esce in bici, piuttosto ti
invitano a fare una sciata. Loro usano molto gli sport alternativi,
mentre noi in Italia abbiamo sempre il concetto che uno deve sempre e solo
fare bici, quando questo pensiero è
molto superato. Sono di mentalità più aperta».
Il ciclismo è sempre nell'occhio del ciclone. Come si vive dall'interno
la situazione doping?
«Sicuramente la questione doping è una questione importante
soprattutto perché quando ci sono i casi di doping gli sponsor scappano e le
squadre chiudono. Io penso che ad oggi si possafare un ciclismo pulito. Poi non
si potrà mai dire che lo è
completamente, quello che vuole imbrogliare c'è sempre: ad esempio, nell'Astana
è uscito un caso di due fratelli positivi. Secondo me, anche ingenuamente, hanno cercato di imbrogliare e di farla franca ma per fortuna sono stati
beccati. Dalla mia sto vedendo che ci sono tanti controlli,
soprattutto per il fatto che abbiamo la reperibilità, e il passaporto biologico. Io credo che il ciclismo sia pulito, basti vedere nella
mia squadra dove nulla è lasciato al caso: si cerca di essere sempre seguiti
sull'alimentazione, sul recupero sul riposo. In questi anni la cultura è cambiata. Pensare che il doping non ci fosse nel passato è sbagliato, in realtà era il contrario. In passato i
doping c'era ovunque, in tutte le squadre. Quello che non c'era erano i
controlli. Se non cerchi non trovi. È normale che su 1000 test all'anno uno o due che rischiano ci sono sempre e se sono sfigati vengono beccati. mase fai solo 50 controlli questi due non li beccherai mai. La differenza tra il ciclismo e
altri sportè anche questa. Tutto questi problemi legati al doping poi vanno a discapito nostro e ti dico: invece di mettere
invece qualche anno di squalifica, se ti beccano ti radiano e basta, non
puoi più correre. Tutto questo corredato con una
bella multa salata, magari 500 mila euro così se sgarri sei fregato. Il problema è anche quello delle pene: sono poco severe, soprattutto quelle economiche, così spingono un corridore a
doparsi. L'opportunità di fare i soldi se vinci la gara o la tappa è
ghiottissima. L'anno dopo, se cisei riuscito, puoi avere il contratto importante che ti cambia la vita sotto il punto di
vista economico».
Parliamo di ciclismo varesino. Dopo Chiappucci, Garzelli, Basso e
Santaromita è Alafaci il nome del futuro?
«Me lo auguro. Ma dire che sarò io il futuro è da egoisti e
da presuntuosi e sarebbe anche un po' ipocrita davanti a campioni come Ivan
Basso che ha vinto corse che contano. Ivan, tra le altre cose farà altri due
anni nel team Saxo, e poi appenderà la bici al chiodo dopo una carriera
gloriosa. Ivan Santaromita, invece, è ancora giovane e potrà dimostrare il suo
talento. Lui lo reputo un grande atleta perche serissimo negli allenamenti e
nella preparazione ed è un amico del gruppo. È sempre un piacere scambiare due
parole con lui. Purtroppo per gli allenamenti non ci si trova quasi mai ma solo
per questioni logistiche, non siamo mai a casa a causa dei diversi
impegni. Stessa cosa vale per Basso. A Varese purtroppo non è più come
dieci anni fa, qui c'erano tanti professionisti, ma adesso siamo rimasti in
pochi. Tra le nuove squadre Continental c'è qualche ragazzo che fa parte
del gruppo anche se fanno un calendario molto diverso dal vero professionismo.
Mi auguro che altri giovani possano venir fuori, anche se purtroppo vengono sempre più a mancare squadre juniores. A Varese, tra l'altro non c'è più una squadra di dilettanti e questo limita un po' il movimento. Adesso come adesso è appena passato pro Luca Chirico e sicuramente potrà far
bene, ma come tutti dovrà dimostrare di essere all'altezza. C'è
poi un altro ragazzo molto valido, si chiama Edward Ravasi, è di Besnate: ha dimostrato di
andare molto forte in salita e sono convinto che tra qualche anno mi raggiungerà in gruppo».
I tuoi corridori modello sia del passato sia del presente. Chi è il
tuo modello?
«Il mio idolo è il
mio compagno di squadra Fabian Cancellara, prendo molto spunto da lui, ogni suo consiglio è oro e cerco sempre con attenzione di osservare
quello che fa, soprattutto
nei ritiri per imparare l'arte. Del passato dico, forse banalmente Marco Pantani. Mi ricordo ancora di lui, ho tutte le sue videocassette. Quando vinceva in
salita entusiasmava, attaccava e dava spettacolo. Era un idolo per tutta
Italia. Mi piaceva molto anche Franco Ballerini, e mi rivedo nelle sue
caratteristiche, uomo duro da grandi imprese nelle classiche. È stato un grande
esempio anche per tutto quello che ha fatto come CT della nazionale. Del
presente oltre ovviamente a Fabian, mi piace atleticamente il suo rivale Tom
Boonen e Bradley Wiggins, lo stile in
bicicletta. E checché ne dicano, è un ragazzo molto alla buona. Non è presuntuoso. Per niente. Non mi ha mai
dato questa impressione».
Parliamo di fan club. Ne hai uno?
«Non lo abbiamo ancora fondato. Ma ci stiamo muovendo per la prossima primavera. Tanti tifosi mi seguono, a partire dalla mia famiglia e dagli amici. Sicuramente il club si farà questa
primavera con una giornata tutti
assieme per la fondazione dove faremo il tesseramento e verranno date
le magliette».
Utilizzi i social?
«Mi piace molto usare i social. Oltre che personalmente, siamo stati
spinti dalla squadra ad utilizzarli perché i social sono il futuro: con
un tweet o con un post su Facebook crei
una notizia che viene riportata sui giornali e sui siti internet. Essendo una persona pubblica è giusto anche dare e far vivere i momenti della nostra giornata ai
nostri tifosi e appassionati. Uso di più Facebook anche se ultimamente ho iniziato ad utilizzare twitter e
instagram, che sto iniziando ad apprezzare. Su twitter siamo circa a 2000
follower. Non sono moltissimi però piano piano la gente inizia a seguirmi di
più. Su Facebook ho superato le 5000 amicizie e non posso più aggiungere amici, stavo infatti pensando di creare una pagina perché ho più di 500 richieste in
sospeso».
Per finire, qual è la corsa che sogni di vincere?
«Il sogno è quello di vincere o il Giro delle Fiandre o La
Parigi-Roubaix. Da italiano ti dico la Milano-Sanremo. Ad oggi, ma anche
nel futuro mi accontenterei anche solo
di vincere una tappa al Giro d'Italia».
© Riproduzione Riservata