SUL PALCO
Il cielo di Elio per i bambini di oggi e di ieri
Il leader delle “Storie Tese” al teatro di piazza Repubblica nel suo spettacolo “Quando un musicista ride”

Clelia ha 9 anni e siede in seconda fila: «Elio mi fa ridere». Con lei i suoi genitori. Biglietti acquistati lo scorso luglio. Poco distante Silvia Priori, attrice: talento di bambina condotto con grazia alla maturità del racconto sulle scene. Che cosa le accomuna? Le immagini che scorrono sul fondale del Teatro di Varese, pieno per ben oltre i due terzi. Sulla scena, come vestito di cielo a far da controcanto a quelle immagini surrealiste - le prime, magrittiane sono una dichiarazione d’intenti: leggerezza, come le note soffiate nel flauto traverso - c'è Elio.
Elio, una garanzia di nome e di note: il leader delle Storie Tese, giovedì sera, 20 febbraio, ha dato spettacolo al Teatro di Varese senza la sua storica band ma accompagnato in un viaggio affascinante - quello di Quando un musicista ride - da un gruppo di giovani di ottime speranze. Partiamo proprio da qui, da questi artisti talentuosi condotti per mano dal Maestro: al pianoforte Alberto Tafuri, alla batteria Martino Malacrida, a basso e contrabbasso Pietro Martinelli, al sassofono Matteo Zecchi e al trombone Giulio Tullio. Tutti da applausi, che sono arrivati puntuali da un Teatro quasi sold out. Bello che siano proprio loro il ponte intergenerazionale per giocare con la musica e le canzoni: non è casuale che in Inglese, Francese e Spagnolo il verbo «suonare» si traduca proprio con «giocare». Ecco allora che la riproposizione di pagine di cultura fatta nota, quali quelle tratte dai testi di Dario Fo, Giorgio Gaber, Enzo Jannacci, Cochi e Renato, Ennio Flaiano, Marcello Marchesi e altri ancora, prendono la forma, semiseria solo all’apparenza, rinfrescando il senso di parole che stanno tra loro come la cerniera tra canzone e scherzo. Uno scherzo da Triboulet che in sé contiene la verità inconfessabile dell’esistenza e la dichiara con la leggerezza d’un sorriso. Merito di Elio, dopo l’esperimento riuscito di Ci vuole orecchio, aver bissato il passo: c’è bisogno di leggerezza, d’ironia, di scherzo per liberarsi da un giogo invisibile ma non per questo meno pesante qual è l’attualità di ogni esistenza. E per ritrovarsi liberi di pensare. Merito anche di Giorgio Gallione che ha curato regia e drammaturgia dello spettacolo, così come di Paolo Silvestri, sarto impeccabile degli arrangiamenti musicali. Tutti impegnati a rendere semplice l’operazione più complessa. Diceva Jannacci: «Quando un musicista ride, depone il suo strumento e ride, e non si guarda in giro e non teme, non ha paura della sua semplicità». E parla all’anima di tutti.
Telefonini, fatture non fatturate e un filo che lega tutto all’amore come quello d’un telegrafista dal cuore urgente: un’idea geniale che fa spiccare il sogno dalla realtà fino a inquadrarla a distanza di sicurezza. Per non affondarci a furia di guardare in basso. La salvezza? Il cielo: alzare lo sguardo e ritrovarsi buffo come le nuvole. Quelle che fanno ridere i bambini. Tutti i bambini, quelli di nove anni come Clelia e quelli che, come lei, per una sera si sono ricordarti di esserlo.
© Riproduzione Riservata