L’ADDIO
Il ruggito di Bisteccone s’è spento, la passione no
Giampiero Galeazzi aveva 75 anni e il Verbano nel Dna

Con le sue telecronache ha reso indimenticabili alcune epiche imprese sportive azzurre. Ieri, venerdì 12 novembre, a Roma si è spento il giornalista romano Giampiero Galeazzi: aveva 75 anni ed era malato da tempo. Ex canottiere tricolore, aveva il Lago Maggiore nel Dna perché la sua famiglia aveva vissuto a Suna.
di Antonio Triveri
Il suo vocione e il suo cuore. I suoi ruggiti memorabili e la sua sconfinata passione. Il suo incedere a volte impacciato e quel suo sguardo intriso di bontà e arguzia.
Ci sono uomini che segnano le nostre vite pur rimanendoci fisicamente lontani, perché capaci di penetrare nella nostra anima incidendo attimi indelebili. Anche solo con un’immagine, con una parola, con un gesto.
Lo straordinario, imitatissimo ma inimitabile Bisteccone, una sorta di zio che tutti noi avremmo voluto alla tavola imbandita del Natale in famiglia, è entrato nella storia nazional-popolare d’Italia con la sua innata capacità di farsi voler bene, dai campioni e dai tifosi, dai protagonisti e dai più umili. Giampiero Galeazzi lascia un ricchissimo e coloratissimo album di ricordi, custodito nella mente di generazioni di sportivi e non solo, ma pure uno straziante vuoto perché nessuno è stato capace come lui di sospingere con il microfono le gesta sportive degli eroi azzurri.
Forse non è un caso che se ne sia andato al tramonto di un’annata che ha regalato una magica sequenza di trionfi allo sport italico, forse chi lo ha chiamato a remare nell’alto dei cieli ha voluto prima donargli tante calde emozioni prima di rapirlo agli affetti, agli amici ed ai telespettatori.
Gli abbiamo voluto bene e lo ricorderemo sempre soprattutto perché, a differenza di tanti, non si è lasciato sedurre solamente dal ricco, popolarissimo, contorto e controverso mondo del calcio. Anzi Giampiero, pur essendo stato voce e volto di trasmissioni cult del pallone di cuoio come Novantesimo Minuto e La Domenica Sportiva, ha legato il proprio nome a imprese in discipline “minori” divenute epiche grazie alla sua capacità di coinvolgere e commuovere. I fratelli Abbagnale con Peppiniello Di Capua nel canottaggio così come Antonio Rossi e Beniamino Bonomi nella canoa sono gli esempi più clamorosi esaltati dall’impronta e dal sigillo di un uomo che a sua volta, da giovane e da atleta, era arrivato fino alla gloria tricolore.
Con il suo ardore e la spontaneità nell’entrare in connessione con chi si trovava di fronte ha “giocato” all’attacco sia in campo (indimenticabili le incursioni nelle feste scudetto della Roma di Liedholm e del Napoli di Maradona) che in studio, valicando così tanto i confini dello sport da giungere sino all’empireo televisivo del Festival di Sanremo e di Domenica In.
Ma sempre con la semplicità e quel velo di tristezza della gente di lago. Perché, pur essendo diventato grande e grosso remando sul Tevere, Giampiero aveva il Verbano nel Dna. La sua famiglia, di origine veneta, aveva vissuto a Suna, sulla riva piemontese del Lago Maggiore, e suo papà Rino aveva vogato per la Canottieri Pallanza persino a livello internazionale. Poi il trasferimento nella Capitale e la nascita di quel bimbone con l’imprinting dell’acqua e le mani grandi. Ciao Bisteccone.
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