ELEZIONI USA
«Il Trump 2 mi preoccupa, per fortuna siamo nell’Ue»
Intervista a Rodolfo Helg, docente di Politica economica alla Liuc. «Ha promesso aumento dei dazi»

«Sono ottimista di natura, ma non nascondo che questo secondo mandato di Donald Trump mi preoccupa, a cominciare dalle ripercussioni che potranno avere dazi e barriere tariffarie varie su beni e prodotti europei. Naturalmente nessuno lo può dire con certezza, ma temo che questa amministrazione sarà peggio per noi che viviamo al di qua dell’Atlantico rispetto ad otto anni fa». Se lo dice Rodolfo Helg, 67 anni («compiuti il 6 novembre, proprio il giorno della rielezione di Trump...»), professore ordinario di politica economica alla Liuc di Castellanza, c’è da credergli.
«In fondo, l’altra volta quasi non ci credeva di aver vinto. Non era pronto. Lo testimonia il gran numero di economisti di cui si è circondato e che poi ha mandato casa. No, davvero non aveva una squadra solida. Stavolta lo immagino molto più forte e preparato e conta già sull’appoggio di pezzi importanti dell’imprenditoria Usa come Elon Musk e Jeff Bezos e di gente leale. Si presenta come l’uomo forte. È vero, spesso è imprevedibile, ma a volte è anche pragmatico. Stiamo a vedere...».
LA PROBABILE STRETTA PROTEZIONISTA Accompagnata da nuovi dazi non sarebbe una buona notizia per l’Italia. Più della metà del surplus commerciale del 2023, al netto delle importazioni per l’energia, è relativo agli scambi con gli Stati Uniti. Oltre 50 miliardi di avanzo commerciale riferiti al solo sistema manifatturiero, l’equivalente del prodotto lordo di una media regione italiana come la Liguria.
«Premesso che tutti i ragionamenti sul futuro sono di per sé incerti, non possiamo che prendere atto che Trump ha promesso uno aumento esponenziale dei dazi sui beni di consumo in arrivo dall’estero: fino al 20% verso tutte le merci in arrivo dall’Europa e fino al 60% dalla Cina. È cambiato il mondo e con esso le politiche economiche, via via sempre più aggressive. L’obiettivo di Donald Trump è quello difendere i posti di lavoro e ridurre la tassazione degli americani con il ricavato dei dazi, anche se tutti gli hanno detto che non sarà possibile. È chiarissimo però che se Trump alzerà i tassi come ha detto, renderà meno competitive le aziende europee che esporteranno negli Stati Uniti. Anche se c’è un però...».
Ci spieghi.
«Se il dazio al 20% fosse fatto davvero in modo uniforme e per tutti i Paesi, noi italiani resteremmo sempre svantaggiati rispetto ai competitors statunitensi, ma per il resto partiremmo dallo stesso handicap come tutti gli altri. La competitività relativa delle merci europee negli States non cambierebbe. In soldoni, se i dazi fossero uniformi, i problemi rispetto alle esportazioni potrebbero essere più gestibili. Ciò detto, non sappiamo ancora come evolverà la situazione. Potrebbe essere che l’amministrazione Trump agiti lo spettro dei dazi come merce di scambio per ottenere qualcos’altro. Sul tipo: niente dazi se voi Paesi della Nato investirete almeno il 2% del Pil nazionale in spese militari. Per fortuna, noi italiani facciamo parte dell’Unione Europea».
Far parte dell’Ue è un vantaggio in questi casi?
«Non c’è nessun dubbio. Se fossimo da soli, come Italia, non potremmo fare altro che inginocchiarci di fronte agli Stati Uniti. Ma lo stesso discorso varrebbe per la Cina. Così no. Il mercato europeo è importante per molte imprese Usa, per cui l’Ue può trattare vantando un potere contrattuale sulle politiche commerciali di tutto rispetto. Sta passando l’idea che il commercio internazionale non sarà più basato sulle regole dell’organizzazione mondiale, ma sulle regole dettate dal più forte. In questo senso sono contento che l’Italia faccia parte dell’Unione europea. Altrimenti sarebbero guai. Indubbiamente, la politica dei dazi o delle importazioni Usa contingentate riserverà contraccolpi alle aziende del Varesotto (oltre 800 milioni di import-export nel primo semestre dell’anno, ndr) e più in generale del Nord-Ovest, da sempre molti efficienti nell’esportare le proprie merci Oltreoceano, ma essere nell’Unione è garanzia per quelle stesse impresse. Quando nel 2018 Trump impose i dazi su acciaio e alluminio, l’Ue diede vita ad azioni di ritorsione. Preferisco aver perso un po’ di sovranità nazionale, come è accaduto con l’adesione all’Unione Europea, perché in questo modo ho potuto guadagnare in termini di peso specifico nei rapporti con i grandi del mondo».
Molti suoi colleghi sostengono che non c’è un solo studio economico serio che comprovi la validità di una ricetta basata sulle barriere tariffarie. Al contrario, una serie infinita di episodi, ne provano il contrario.
«La storia ci insegna, sin dal 1929, e cioè dalla guerra commerciale che aggravò l’effetto della Grande Depressione americana, che con i dazi ci perdono tutti. Prendete i dazi applicati nei confronti della Cina voluti da Trump e per altro confermati anche dall’amministrazione di Joe Biden. È stato un mezzo disastro: i prezzi dei beni protetti sono aumentati, mentre i posti di lavoro no. Dal punto di vista puramente economico è una guerra commerciale perdente. Diverso il discorso per quanto riguarda la battaglia geopolitica: gli Usa sono convinti di infliggere ai cinesi perdite importanti, che ne mineranno la loro crescita come principale rivale mondiale».
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