IL CASO
Indumenti usati: attenti alla campana
Da un contenitore anonimo in via Giordani alla scoperta di una filiera che frutta soldi

Il viaggio comincia da una provocazione letta su Facebook, firmata da Alessandro Goitan, professionista varesino che segue con occhio critico le vicende della città, più o meno evidenti.
«C’è una campana per la raccolta di indumenti, lungo via Giordani - scrive Goitan -. Peccato che non riporti il destinatario delle donazioni. Però c’è un numero di telefono...».
Verificare una notizia è il primo compito di un giornalista. La conseguenza è mettersi in viaggio lungo un itinerario che può nascondere, come l’ombra gli indumenti infilati in una campana, percorsi che portano lontano dal luogo comune. Quale quello di essere sicuro che l’indumento usato riposto in una campana, finisca, una volta selezionato e ripulito, addosso a un bisognoso.
Gli indumenti usati infilati in un campana, infatti, vanno altrove: di rado in una discarica, più di frequente in Tunisia. Oppure al mercato.
Buongiorno, a chi vanno gli indumenti raccolti nella campana di via Giordani?
«All’associazione Madre Teresa Giuliani».
È una Onlus?
«Sì, è una Onlus, vada su Internet se vuole saperne di più».
Lei come si chiama?
«Gaetano Pagano».
La telefonata dura poco, la ricerca su Internet ancora meno. Porta a un iniziale nulla di fatto (clicca QUI) ma anche alla riscoperta di una figura importante della solidarietà cristiana: Madre Teresa Giuliani, suora canossiana che dal 1938 al 2001 impiegò la sua vita per assistere malati, detenuti, disagiati.
In suo nome è sorta una cooperativa sociale,Gli Amici di Madre Teresa Giuliani che - come spiega il responsabile, Domenico Pagano, fratello di Gaetano nonché ex goleador di Castanese e Gallaratese - dal 2014 si prefigurava di essere il braccio operativo dell’Associazione Gruppo Volontari Onlus.
Si prefigurava. Che è successo nel frattempo?
«La nostra cooperativa sociale si occupa soprattutto di reinserimento sociale di detenuti. Siamo una quindicina di dipendenti e per statuto lavoriamo nella raccolta degli indumenti usati. Da qualche mese è successo che si sono creati motivi di disaccordo con Agv, abbiamo deciso d’interrompere la collaborazione. A Varese, sotto la supervisione della polizia locale, avevamo creato una rete di quindici campane per la raccolta. Due settimane fa sono venuto a ritirarne dieci».
E le altre cinque?
«Qualcuno le ha spostate dagli stalli concessi e ha cambiato i lucchetti. Forse pensava che le zone di passaggio non fossero idonee. Certo ha fatto male ma non ci mettiamo a fare la guerra dei poveri».
E la campana di quella di via Giordani?
«È imbarazzante per me confermarlo ma sì, quella deve averla spostata mio fratello che è tra le persone che venivano seguite da noi per il reinserimento. Deve aver deciso che mettersi in proprio frutta di più. Più o meno come fanno certi nordafricani e albanesi che, su mandato di Agv, fanno il porta a porta per ritirare indumenti usati. Non li ascoltate. Abbiamo diffidato Agv a utilizzare l’immagine di Madre Teresa Giuliani allegata ai volantini che queste persone distribuiscono. A differenza dell’associazione che non può operare in tal senso, come cooperativa sociale noi abbiamo tutte le autorizzazioni necessarie. Inclusi i formulari per il ritiro e la gestione degli indumenti raccolti».
Dunque, campagna di raccolta sospesa a Varese?
«Sì, per quel che ci riguarda. Le campane sono nostre. E costano care. Vengono da ditte del Sud Italia: tra contenitore, trasporto e posa, ci vogliono circa 700 euro l’una».
Quanto rendono?
«Posto che al massimo contengono due quintali, direi sui 25 centesimi al chilogrammo. Dunque circa 50 euro».
Ogni quanto vengono svuotate?
«Due o tre volte la settimana, un compito che affidiamo appunto a chi, uscito dal carcere, cerca lavoro per mantenersi in modo dignitoso. Funziona. Con le solite eccezioni».
Dunque gli indumenti non finiscono negli armadi dei bisognosi come accade con certi guardaroba oratoriani?
No. La filiera del ritiro è piuttosto complessa.
Può spiegare?
«Noi, in questo settore, operiamo in tutta la Lombardia, dove abbiamo circa 150 campane. I nostri addetti passano a ritirare il materiale e lo consegnano, con tanto di formulario, necessario per il trasporto e la vendita dei rifiuti, a centro di stoccaggio quali la Pandofli Srl di Paullo ma non solo. Questi centri acquistano il materiale. Poi hanno due opzioni. O trattano il materiale quale rifiuto e lo rivendono come tale, oppure, se hanno le strumentazioni necessarie, lo sottopongono all’igienizzazione. E lo rivendono con ricarichi per loro più convenienti».
Possibile che gli indumenti finiscano nei mercati più o meno autorizzati?
«Quando succede che spariscano contenitori, purtroppo un fatto non raro, è facile pensare che ci sia qualcuno che li riposizioni e che li svuoti, tenendosi i capi in migliore stato per poi rivenderli lui stesso al pubblico o farseli pagare da qualche ambulante. Dunque, sì, è possibile. Ma ritorniamo alla guerra tra poveri di prima».
È vero che solo due anni fa, quando furono assestati colpi a organizzazioni camorriste che lucravano su questo mercato, il ricarico poteva arrivare fino a 35-50 centesimi?
«Sì. Oggi il prezzo s’è abbassato perché è in crescita esponenziale la disponibilità di indumenti usati. Sta diventando un’abitudine - a mio avviso buona e giusta - quella di non buttare gli abiti usati ma di rimetterli in circolazione per chi ne ha bisogno. E quando parlo di bisogno alludo anche agli operatori che raccolgono questo materiale, che lo ripuliscono, che lo smaltiscono e lo rivendono. Questi operatori, spesso, sono persone che hanno bisogno di guadagnarsi la pagnotta in modo legale. Quanto a quelle indagini, ho un dubbio. Napoli è il centro più importante di questo settore per organizzazione e logistica. Sarà un caso ma quando ci sono queste indagini, il movimento della merce prende la strada del Nord Europa: Germania, Danimarca. Paesi che pure fanno affari con la Tunisia».
Qual è il punto d’arrivo di questo materiale?
«In generale l’Europa dell’Est e il Nord Africa, attraverso la porta principale della Tunisia. Quest’ultimo è il mercato principale perché connesso agli altri paesi sahariani e non solo. Pensi che laggiù hanno deciso di stipulare convenzioni con soggetti giuridici italiani che si occupano di stoccaggio annuale e che abbia i crismi della legalità. Se si è a posto che le leggi dello Stato italiano, vengono ritirati quantitativi enormi. Anche noi ci stiamo organizzando per questa possibilità. Abbiamo da poco modificato il nostro statuto per poter vendere direttamente quanto ritiriamo: per noi crescere significa aiutare più persone di quante ne stiamo giù aiutando. Non è solo il nostro scopo statutario, è la nostra missione».
Per saperne di più:
http://www.ciessevi.org/sites/default/files/allegati/vari/filiera-abiti-usati.pdf
https://www.amicidimadreteresagiuliani.com/
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