LA SENTENZA
Ispra, truffa sentimentale
Iniziò relazione online con una donna della Calabria e le chiese soldi: condannato a 8 mesi

Contattò quella donna calabrese su Facebook e tra i due nacque un’amicizia, che poi divenne anche qualcosa di più. Tanto che l’uomo, sessantaduenne di Ispra, le avrebbe anche promesso che sarebbero andati a vivere insieme, forse si sarebbero persino sposati.
Una volta conquistata la sua fiducia, le chiese mille euro per un intervento chirurgico urgente. Lei pagò, ma quando il suo “amico virtuale” sollecitò un altro versamento, sempre attraverso la ricarica di una carta prepagata e sempre per affrontare spese mediche, si insospettì. Chiamò l’ospedale e scoprì che non era vero nulla. E così lo denunciò per truffa.
Reato per il quale Letterio Rizzo, originario di Messina, è stato condannato a otto mesi di reclusione, e 150 euro di multa, dal giudice del Tribunale di Varese Rossana Basile. Non solo: dovrà anche risarcire, con duemila euro (tra danni materiali e morali), la donna, costituitasi parte civile con l’avvocato Francesco Amantea, di Lamezia Terme.
Il pubblico ministero Nicola Ronzoni, chiedendo la pena di un anno di carcere - vista anche la recidiva specifica - ha ricostruito le tappe di quella che ha definito «truffa sentimentale, un fenomeno diffuso che vede l’autore del reato insinuarsi nella vita della vittima, molto spesso un soggetto fragile, allo scopo di ottenere denaro, prospettandole, anche attraverso dei sottintesi, una vita insieme».
Vittima che, come in questo caso, di solito viene “agganciata” sui social network. I due cominciano a “frequentarsi” virtualmente e l’amicizia diventa sempre più forte. Senza mai vedersi. Anche Rizzo e la donna, infatti, non si incontrano mai di persona, ma hanno contatti solo online o per telefono.
Così lui riesce a convincere la signora, all’incirca della stessa età, di avere gravi problemi cardiaci e per questo di aver urgente bisogno di denaro. La prima volta la donna gli crede e versa i mille euro sulla carta a lui intestata, ma al secondo tentativo, quando lui le racconta di essere stato derubato in ospedale, decide di andare a fondo e scopre la verità.
L’avvocato difensore, Giovanni Caliendo, ha prodotto alcuni certificati medici per sostenere come l’imputato fosse effettivamente «malato cronico». E ne ha chiesto l’assoluzione per non aver commesso il fatto: «C’è una sentenza proprio di questo Tribunale, su un caso analogo, che afferma che la semplice menzogna non integra gli elementi dell’artificio o del raggiro, essenziali nel reato di truffa. Qui ci troviamo di fronte, forse, soltanto a una bugia».
Di tutt’altro avviso il giudice che, alla fine, ha riconosciuto l’isprese colpevole.
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