IL RICORSO
Uccise un gay, va in appello
Giovane ivoriano era stato condannato a 30 anni. Ora punta a uno sconto di pena

«Sono disperato. Io volevo solo rubare, non ammazzare. Se lui non mi avesse fatto quelle avance ora non sarei in carcere. Quando ho capito le sue intenzioni ho perso la testa».
Emmanuel Djakoure, ivoriano ventiquattrenne, nella notte tra il 4 e il 5 agosto del 2016 ammazzò Claudio Silvestri, un omosessuale che lo avvicinò offrendogli 40 euro per una prestazione sessuale.
Il ragazzo voleva derubarlo, fingendosi disponibile al tete a tete. Ma la situazione gli sfuggì di mano. E a distanza di due anni non si dà pace.
A luglio dell’anno scorso è stato condannato a trent’anni, con rito abbreviato, dal gup Nicoletta Guerrero.
Il prossimo 14 novembre per il giovane inizierà il processo d’appello. Lo difenderà l’avvocato Francesca Cramis, determinata a ottenere una riduzione della pena.
«Purtroppo non ho ancora avuto la possibilità di leggere gli atti perché non mi sono ancora stati trasmessi dai colleghi che mi hanno preceduta, ma per come mi è stata ricostruita la vicenda ritengo ci sia spazio per sostenere un omicidio preterintenzionale», spiega la penalista.
Il ventiquattrenne fin dal giorno dell’arresto, che risale al successivo 9 agosto, ripete che non avesse alcuna idea di aver ucciso Silvestri.
Quando lasciò la sua abitazione era convinto che il quarantunenne fosse vivo. La verità l’avrebbe scoperta leggendo i giornali.
«Mi sono rovinato, gli incubi non mi abbandonano, ho sempre il rimorso», ha confessato al suo legale.
Che cosa accadde in quella sera di agosto è ormai noto. Silvestri era stato un paio d’ore sotto i tendoni della festa estiva Jerago Beach, poi in macchina si era spostato a Gallarate, nella zona degli incontri omosessuali clandestini, che si snoda in via De Magri.
Lì vide il giovane, si accostò e gli fece la proposta. Emmanuel finse di accettare. Il suo piano, concepito così sui due piedi, prevedeva un’azione fulminea: richiesta di pagamento anticipato e poi, una volta prese le banconote, una fuga fuori dall’abitacolo dileguandosi nel nulla.
Silvestri però decise di portare il giovane a casa sua, in via Vittoria. Arrivati, l’uomo avrebbe offerto da bere all’ivoriano, facendolo accomodare sul divano e avrebbe iniziato a togliersi la cintura, allungando le mani.
«Non hai capito, questa è una rapina», lo stroncò l’imputato. Silvestri urlava, si disperava.
«Taci, stai zitto, smettila», disse il ragazzo al quarantunenne mettendogli le mani al collo. Claudio continuava ad agitarsi, a dimenarsi. Il ventiduenne allora strappò i cavi del computer e gli legò mani e piedi, per evitare che potesse scappare, poi gli sferrò un paio di calci sul collo e lo strangolò.
Dopo di che lo lasciò a terra e si dette alla razzia della casa. Nei giorni successivi fece la vita di sempre, come se nulla fosse accaduto. Andò a bere l’aperitivo con gli amici, si recò al Latin festival a ballare. A parere del pubblico ministero Nadia Calcaterra, che coordinò le indagini, non ci fu alcun pentimento, nonostante le lacrime versate dopo l’arresto.
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