VENEZIA
Merlini: una collezione bustocca, anzi italiana

Con la mostra «Una collezione italiana», Venezia accoglie per la seconda volta (la prima nel 2011 a Palazzo Loredan, ora invece a Palazzo Fortuny) 130 delle circa 400 opere della collezione messa insieme in cinquant’anni da Giuseppe Merlini, commercialista di Busto Arsizio.
Anni fa si parlò di questa raccolta, quando lo stesso Merlini espresse il piacere di vederla ben collocata nella propria città, che però non dispone di un luogo adeguato per ospitarla. Si ventilò l’idea di destinarle l’ex calzaturificio Borri sul viale Duca d’Aosta, una volta riqualificato, ma non se ne fece nulla. La novità oggi riguarderebbe proprio la vicina riqualificazione del Borri, ma è ormai escluso che la Collezione Merlini, possa restare del tutto a Busto, con l’eccezione di eventuali mostre.
Il motivo è presto detto e balzerà agli occhi dei visitatori di Palazzo Fortuny: sono rare le collezioni di tale ampiezza, qualità e valore, addirittura capaci da sole di ripercorrere le varie tendenze artistiche del secolo breve.
L’allestimento della mostra è curato da Daniela Ferretti e Francesco Poli. La prima opera che si incontra una volta varcata la splendida facciata del palazzo veneziano è un omaggio al collezionista e in parte anche alla «sua» Busto Arsizio, che spicca con l’immagine della famosa Madonna dell’Aiuto che è una delle componenti di un rebus che occupa tre cassette da infermeria: è stata commissionata da Merlini a Bertozzi & Casoni come proprio autoritratto ironico e comprende anche una delizia dell’ormai chiusa pasticceria Cavour di Busto, che Merlini frequentava spesso e un formaggio dalla sua amata Svizzera.
Raggiunto il piano nobile, ci si trova invece al centro di due tendenze opposte dell’arte del Novecento: l’astrattismo e il realismo. Al centro, la metafisica di Giorgio De Chirico, i cui «Archeologi» furono esposti anni fa all’Ite Tosi di Busto, e di suo fratello Alberto Savinio, di cui spicca un «Apollo» ispirato al tema delle metamorfosi ovidiane. Poi ci sono tele di Ubaldo Oppi, Ennio Morlotti e Renato Birolli, debitrici della lezione di Cezanne.
Per quanto riguarda il realismo, spicca invece «Lo sterratore» di Renato Guttuso come esempio di una tensione creativa capace di partire da un soggetto reale conducendolo a esiti astratti. Prima di proseguire al piano superiore, caratterizzato dai quadri di Pinelli, Dorazio e Crippa, che sembrano tessuti, o di Alberto Burri, che propone una «Muffa», al pari di una bella parete in cui si specchia il tempo con i suoi effetti, si accede al cuore della collezione: una serie dei concetti spaziali di Lucio Fontana sormonta dagherrotipi e soprattutto «La madre» del suo maestro Adolfo Wildt, che ne mantenne la proprietà per lungo tempo, donandola alla consuocera. Scolpito in marmo di Carrara e trattato al punto da assumere sembianze eburnee, con vere ciglia, il volto della madre acquistato da Merlini è servito ad attestare un metodo di lavorazione che altri pezzi simili, conservati con minore cura e puntiglio, non permettevano di capire e che potrebbe dirsi bidimensionale: è stata infatti cura dell’artista non lasciare alla luce naturale o artificiale il compito di ombreggiare l’opera, intervenendo invece lui stesso per un effetto chiaroscurale che lascia senza fiato.
«Una collezione italiana. Opere dalla Collezione Merlini» - Venezia, Palazzo Fortuny, Campo San Beneto, sestiere di San Marco 3958, fino al 23 luglio 2018, ore 10-18, chiuso il martedì, ingresso 10/8 euro, info e prenotazioni 848082000.
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