GUTTUSO
La forza delle cose è a Pavia (e non a Varese)

Raggiungiamo Fabio Carapezza Guttuso, figlio adottivo di Renato Guttuso, nella sede dell’Archivio presso lo studio romano di Palazzo del Grillo. È in partenza per Amatrice dove, in qualità di prefetto, partecipa alle operazioni di salvaguardia del patrimonio artistico dei paesi colpiti dal terremoto. «È una lotta contro il tempo» ci dice. «Dobbiamo operare in fretta, prima che arrivino l’inverno e la neve, in un territorio molto vasto, che si estende fino a Camerino e in gran parte montuoso». Volentieri - in occasione della mostra «Guttuso. La forza delle cose» a Pavia - si ferma a raccontarci delle vicende che legano il maestro di Bagheria a Varese, anche perché, dice «Renato leggeva sempre il vostro giornale».
Fabio Carapezza, figlio di Marcello, vulcanologo amico di Guttuso, era un funzionario del ministero degli Interni e aveva 32 anni quando nell’ottobre 1986 fu adottato da Guttuso che sarebbe morto qualche mese dopo, il 18 gennaio 1987, dopo essersi riavvicinato alla fede cristiana. Sulla sua eredità sorse una querelle tra Carapezza e la contessa Marta Marzotto, musa e per tanti anni amante del pittore, il quale però dopo la morte della moglie Mimise Dotti non la volle più vedere. La questione dell’eredità si è chiusa definitivamente nel 2001: la Cassazione ha dato ragione piena a Carapezza riconoscendolo erede unico e legittimo di Renato Guttuso.
Carapezza, ripercorra la storia per chi non la conosce o non la ricorda: come avviene l’incontro di Guttuso con Varese?
«È un incontro causale. La moglie Maria Luisa (Mimise) Dotti era coerede di una proprietà a Velate, un casino di caccia con stalle. Un giorno vanno a vederlo, con l’intenzione di liquidare la loro parte di eredità. Lo stabile era molto danneggiato perché durante la guerra vi si erano rifugiati gli sfollati. Invece Guttuso e Mimise si innamorano della bellissima vista sul lago e dei grandi spazi, perfetti per ricavarne uno studio. Renato e Mimise decidono così di rilevarlo e sistemarlo. Guttuso lo tiene dall’inizio degli anni Sessanta fino alla morte. Trascorre qui almeno quattro mesi ogni anno, da inizio giugno a fine settembre, a volte prolunga il soggiorno per terminare dei lavori. Quel luogo, lontano dalla vita romana e dalle emozioni forti della Sicilia, è l’ideale per lui per lavorare e per riflettere».
Lei che ricordi ha dello studio di Velate?
«Lo ricordo bellissimo, ampio e luminoso, ricavato nei locali delle scuderie. Erano stanze alte nove metri, l’ideale per opere di dimensioni notevoli; infatti tutte le grandi tele come La Vucciria, Spes contra spem, I funerali di Togliatti sono nate qui. Ma anche opere più intime, i paesaggi di Velate e alcune nature morte, come le angurie o i peperoni su un prato, in questi giorni in mostra a Pavia, o il Cesto di castagne dedicato nel 1968 a Picasso che compie 87 anni».
Chi frequentava la casa di Guttuso?
«Dagli anni Sessanta Guttuso ha iniziato a trascorrere qui le sue estati (prima andava al mare, a Ischia, Capri o Napoli) e ha recuperato le antiche amicizie lombarde, nate a partire dagli anni Trenta, quando aveva esposto al Milione e aveva prestato servizio militare a Milano. Così per quattro mesi ogni anno nello studio di Velate amici intellettuali o artisti venivano a trovarlo dando vita a un fervido cenacolo. Tra i suoi ospiti ricordo Morlotti, Vittorini, Montale e Cesare Brandi, Fellini, Piero Chiara e l’italianista Dante Isella che ha trascorso qui bellissime serate a leggere Carlo Porta in dialetto milanese, mentre Guttuso realizzava le illustrazioni. Testori lo raggiungeva spesso per discutere dei suoi dipinti, mentre Eduardo de Filippo ospite di Renato scrisse a Varese una parte de Il contratto. Giovanni Pirelli aveva una villa accanto a quella di Guttuso: erano molto amici, viaggiavano spesso insieme. Del viaggio in Egitto del 1959 rimane il racconto di Giovanni illustrato da Guttuso e pubblicato sulla rivista della Pirelli».
Diceva che «La Vucciria», il ritratto del mercato più famoso di Palermo, è stato realizzato a Varese…
«Guttuso aveva bisogno della quiete lombarda, del morbido profilo dei monti e della natura meno violenta per fare sedimentare le impressioni forti, i colori accesi e le luci eccitanti di Palermo. Lui però dipingeva sempre dal vivo, così si è fatto portare un quarto di bue da un macellaio di Varese, mentre per il pesce spada, i gamberoni e gli ortaggi è stato organizzato un ponte aereo Palermo-Malpensa per avere prodotti freschi. Il suo studio si era trasformato in un enorme mercato. Ricordo che per raggiungere le parti più alte dell’enorme tela saliva su un piccolo montacarichi».
Lo studio di Velate c’è ancora?
«Non esiste più. All’inizio era stata ventilata l’ipotesi di conservarlo, ma non ci si può occupare di una struttura così grande se non c’è un interesse reale a mantenerla viva».
Guttuso e il Sacro Monte…
«Monsignor Pasquale Macchi, segretario di papa Paolo VI e allora arciprete di Santa Maria del Monte chiese a Guttuso di realizzare la Fuga in Egitto nell’edicola della terza cappella del Sacro Monte, poiché l’affresco del Seicento di Carlo Francesco Nuvolone era rovinatissimo. Monsignor Macchi aveva con Guttuso un rapporto importante, tanto che il maestro gli donò tre opere oggi esposte ai Musei Vaticani. Credo sia il momento più bello di comunicazione con la città: mentre dipinge sotto gli occhi di tutti, in cima a un’impalcatura, la gente rimane lì a guardarlo, gli fa domande e lui dice di sentirsi un po’ madonnaro e un po’ pittore del Cinquecento».
La memoria di Guttuso a Varese, dopo la cittadinanza onoraria del 1983.
«Se non c’è un centro propulsore la memoria si perde. Invece penso sarebbe importante testimoniare la presenza di Guttuso a Varese, lui che ha reso famoso questo luogo nel mondo come città di arte e cultura e ne ha fatto conoscere gli scorci più belli attraverso i suoi dipinti. La sua memoria è rimasta molto forte nei collezionisti: ce ne sono in provincia di Varese, hanno creduto nell’artista e hanno trasmesso ai figli la passione per Guttuso. Ad esempio Francesco Pellin comprava solo sue opere e nel 2000 ha costituito una Fondazione. Ricordo che proprio la Fondazione Pellin aveva ventilato la possibilità di dare la raccolta al Comune di Varese per costituire un museo del maestro ma l’iniziativa non si è poi concretizzata».
I musei varesini non hanno opere di Guttuso: si potrebbe pensare almeno a una sala dedicata...
«È triste che non ci sia quasi più nulla di Guttuso a Varese ma i progetti hanno necessità di un apporto economico, bisogna investire molto e non sempre è possibile; anche se si investe c’è poi un ritorno. Nel 1984 Silvano Colombo e Giovanni Testori hanno organizzato una bella mostra su Guttuso a Varese, che ha riscosso successo».
«Guttuso. La forza delle cose» - Pavia, Scuderie del Castello Visconteo, fino al 18 dicembre da lunedì a venerdì ore 10-13 e 14-19, sabato, domenica e festivi ore 10-20, 12/10 euro euro, info 0382.33676, www.scuderiepavia.com.
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