STORIE
La poesia è di chi la legge: in due contro il grigio delle città
I poeti di strada Stefano Bassi e Marta Salvi

Non le pagine immacolate d’un quadernetto, ma saracinesche arrugginite, piazze, muri e pannelli di cantieri, perché per loro scrivere poesie è un’arma contro il grigio, un germoglio di bellezza nell’asfalto della città. Stefano Bassi e Marta Salvi: lui 22 anni ancora da compiere, iscritto alla Facoltà di Filosofia alla Statale di Milano; lei di un anno più giovane, studentessa di Lettere moderne alla stessa università. Entrambi varesini di nascita (l’uno vive a Lavena Ponte Tresa, l’altra a Biandronno), entrambi ex alunni del liceo classico Cairoli, nel capoluogo. Insieme hanno dato vita al progetto di poesia di strada ste-marta: tutto rigorosamente minuscolo, e qui spiegheranno perché.
Prima di parlare di arte e poesia, un’inevitabile incursione nel gossip.
Via il dente, via il dolore: colleghi, amici o qualcosa di più? «Ebbene sì (ammettono con un sorriso), come disse qualcuno conoscendoci, siamo una coppia sia nell’amore, sia nella poesia, con tutti gli onori e gli oneri che comporta».
Il vostro progetto: quando è nato l’amore per la poesia di strada? «La passione per la poesia e la scrittura come veicoli di espressione l’abbiamo da quando siam piccini. Ci piace pensare che è la poesia che ci scrive, noi e tutti quanti senza far distinzioni di qualità. È un attimo, un invisibile che poi decidi di raccontare, per comunicarlo, condividerlo».
C’è stato un incontro o un momento che ritenete particolarmente significativo nella decisione di dedicarvi a questa attività quantomeno insolita? «La poesia di strada l’abbiamo conosciuta a Milano, città che per certi aspetti porta avanti una sorta di controcultura per quanto riguarda la street art, la poesia e altre forme di espressione. Per esser più precisi, è stato Ivan Tresoldi (Ivan, il poeta) a farcela conoscere. Stefano lo incontrò circa un anno fa in università. Da lì le nostre poesie non sono più rimaste in un cassetto. E proprio perché non vogliamo soffermarci sull’Autore della poesia con la lettera maiuscola, abbiamo deciso di firmarci ste-marta minuscolo, per rivendicare il gesto dell’andare in strada: la poesia rimane di chi la legge».
Avete modelli di ispirazione? Come definireste la poesia di strada? «Ivan ci ha aiutato moltissimo non tanto per i contenuti o il modo di scrivere (per quello senz’altro dobbiamo tanto ai molti poeti e scrittori conosciuti al liceo), quanto per le modalità di approccio alla strada. Ora che è passato quasi un anno stiamo trovando nuovi modi, senza dimenticare quel che è patrimonio comune per chiunque decida di far poesia di strada: poemi su fogli (più grandi sono, meglio è), colla, vernici, pennelli, stencil, tanto colore, il giusto luogo, un pubblico preciso, un dialogo con chiunque passi, fino ad arrivare a sviluppare lavori su tela con poesie destinate ai nostri più intimi conoscenti, o per manifestazioni di beneficenza. Insomma, la poesia non ha confine né vogliamo confinarla in qualche forma o pratica, ciascuno è libero di fare qualsiasi cosa con essa. Ognuno scrive, bisogna semplicemente trovare il coraggio di esprimersi, ed è questo che vogliamo, perché chi non s’esprime, finisce per reprimere».
Come si sviluppa un vostro lavoro? Qual è il processo creativo, fino alla realizzazione finale? «Il processo della poesia di strada è molto semplice, a tratti complesso, in quanto c’è divario tra idea e azione. Si parte con il voler intervenire su strada, sapendo che così senz’altro qualcuno ti leggerà. Vuoi raccontare proprio cosa succede lì, negli attimi, nelle città e nelle periferie, vuoi comunicare con le persone, dire loro di non arrendersi, di sognare, cercando di concretizzare ciò che il presente cerca di farti tacere. Ecco che il contenuto si fonde con tutto questo ed è bello scoprire che la bellezza non è in una torre di avorio, non la possiede una schiera di sofisticati intellettuali, ma è a portata di tutti. L’azione è un pochino più complicata: porta la poesia a stampare, fai la colla, prendi la scopa, gira per la città, trova dei luoghi, attacca la tua poesia, parla con chi ti chiede e sii pronto a staccarla se dà fastidio a qualcuno. Cerca un angolo grigio e mettici delle parole, o addirittura prendi un gesso e scrivi per terra: anche questa è poesia di strada».
Quale messaggio volete comunicare con la vostra arte? «A volte sembriamo degli attacchini o degli imbrattatori, forse dei folli, ma quel che mai dimentichiamo è che siamo in giro a regalare poesia, non pubblicità, in modo gratuito, cercando di costruire senso attraverso la parola, che da sempre è comunicazione, quindi collettività».
Quanti lavori avete realizzato finora e dove li avete fatti? «I lavori sono davvero tanti. A Varese, vicino alla stazione delle Ferrovie dello Stato, ci sono quattro saracinesche della sede degli Angeli Urbani con due poesie dipinte, un disegno di un ragazzo (nome d’arte Baos) con alcune nostre frasi. In via Como ci sono altre due saracinesche dipinte con frasi e parole in tutte le lingue del mondo. Vicino alla Madonnina in Prato, tra via Dandolo e viale Milano, su un’edicola c’è un’altra poesia dipinta. Allo stadio di Varese c’è un nostro lavoro sempre con vernici. Sparse per la città, manifesti di poesia formato grande o più piccolo. Fino ad arrivare a Milano e perfino a Genova. Forse e sicuramente ci dimentichiamo altro d’importante, ma speriamo che siano le persone a imbattersi in una nostra poesia».
Quali sono i lavori cui siete più affezionati, o che vi hanno lasciato particolarmente soddisfatti? «I ricordi sono tanti e ogni intervento ha il suo bello: la poesia per gli Angeli Urbani che li ha visti partecipi, interessati e soprattutto pronti a raccontarci le esperienze di chi sta in strada. A Biumo, la poesia per l’edicola di Andrea, che l’ha visto così felice di trovarsi scritto su saracinesca tutta la sua vita, il suo credere e la forza di resistere in questi tempi così duri per chi ancora tiene in vita piccole edicole e in realtà fa un gran lavoro di socialità. Ma soprattutto il ricordo migliore è il ricordo che è già fuggito, quella sensazione che accompagna ogni singolo lavoro, quell’attimo in cui la poesia prende vita sui muri della città e per le strade».
Perché scrivere versi sui muri e non sulle pagine di più tradizionali libri? Rispondono mostrando la foto di un loro lavoro su un ponte dei Navigli, dove si legge: la poesia non è privilegio di pochi, ma incantesimo per tanti: «Ecco perché non pubblichiamo su libri di poesia, oggi purtroppo poco letti, ma continuiamo a scrivere e portare versi per le città, vicino alla gente. La strada è il più grande libro e ha moltissime pagine da raccontare e scrivere».
Siete giovanissimi: l’immancabile sogno nel cassetto?
«Il sogno nel cassetto era quando le nostre poesie erano appunto chiuse in un cassetto: ora i nostri sogni invadono le città, quotidiana lotta col grigio, ma voglia di vivere. I nostri sogni così s’avverano e se il futuro non c’è lo scriviamo, poesia per poesia con l’aiuto di tutti. La poesia di strada fa sempre strada, nonché faro».
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