DIDATTICA A DISTANZA
La scuola digitale scricchiola
Preparazione e strumenti: a che punto siamo, tra ritardi e disparità enormi
La didattica digitale a cui sono costretti i nostri ragazzi di tutte le età fa emergere almeno due problemi. La tecnologia, invece di unire e mettere in circolo idee e competenze, aumenta il divario tra chi è capace e chi no. Capita tra gli insegnanti e tra i genitori.
La seconda questione è collegata alla prima. Nonostante direttive, circolari, disposizioni di ogni sorta, per ogni scuola si potrebbe scrivere un libro.
Ci sono gli istituti che si sono organizzati subito, con un gruppo di insegnanti compatti e affiatati e hanno dato indicazioni ai bambini o ai ragazzi subito dopo lo stop alle lezioni in classe.
Ci sono scuole, invece, dove ogni sezione è un piccolo mondo, perché non tutti gli insegnanti utilizzano le piattaforme dai nomi improbabili (ed puzzle, google meet, edmodo, weschool, solo per citarne alcuni) e lavorano ancora per messaggi, niente video, niente lezioni frontali, si fa per dire, quando di fronte si hanno solo il computer o il cellulare. Solo pochi anni fa, il blackout alle lezioni tradizionali imposto dalla pandemia avrebbe avuto come ripercussione lo stop quasi completo delle attività scolastiche e di studio. Tragedia culturale e formativa nella tragedia sanitaria, sociale ed economica. Oggi non è più così, per fortuna. Eppure le differenze tra istituti, classi e a volte anche all’interno del gruppo di docenti dello stesso corso, sono enormi. Chi impara e si adegua, chi no. Capita tra maestri e prof e capita tra le famiglie. Con una sottile ma sostanziale differenza. I primi possono essere più o meno bravi a utilizzare pc e video, a caricare lezioni e schede, a interagire da lontano con i loro studenti. Hanno però il dovere di farlo, morale ancora prima che professionale. Perché sono educatori. I secondi, cioè le famiglie, possono non avere tutti gli strumenti o le capacità per utilizzarli oppure, semplicemente, possono non avere, in questa reclusione forzata, tutto a portata di mano. Un esempio? C’è chi non riesce a stampare le schede per il bambino per il semplice motivo che non è più in ufficio, e guadagna lo stipendio in smart working, ma la stampante a casa non l’ha. Chi non riesce a orientarsi con i compiti sulla piattaforma online e subisce lo “smacco” del figlio, o del nipote, che prende il cellulare, scarica la app e spiega al genitore o al nonno come si fa.
Poi ci sono i ragazzi che con i genitori non parlano e se lo fanno con i nonni è solo per poche parole. Quando si chiede come va con i compiti, vi hanno interrogato, la prof ha spiegato quella parte difficile, in che modo, in videochiamata o con una lezione registrata, gli interrogativi rimangono sospesi o con la risposta d’ordinanza: «Tanto se te lo spiego, non lo capisci...», parole riferite alla piattaforma o alla modalità di interazione. Sull’Internazionale, Massimo Mantellini ha scritto un articolo sul divario digitale che è magistrale. Dice che «La scuola è insostituibile e il digital divide, è una forma di diseguaglianza che riguarda, prima di tutto, i più deboli». Poi ci sono le circolari ai tempi del virus, dove tutti vengono richiamati al dovere di “fare continuare” la didattica online.
Sempre che la connessione non salti.
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