IL LUTTO
La Varese di Franca Rame
L'addio all'attrice che visse e studiò nella città giardino: camera ardente giovedì 30 maggio al Piccolo di Milano e venerdì 31 maggio orazione funebre davanti allo Strehler. Poi tumulazione al Famedio. Le sue ultime interviste a Lombardia Oggi
Franca Rame se n'è andata il 29 maggio 2013, pochi giorni dopo l'amico e quasi coetaneo don Andrea Gallo. Avrebbe compiuto 84 anni a luglio. Si è spenta nella sua casa di Milano. Grande attrice ed erede di una stirpe di artisti, moglie di un gigante come Dario Fo, senatore dal 2006 al 2008, Franca, che era nata (per caso) a Villastanza di Parabiago nel 1929, ha sempre avuto un rapporto privilegiato con Varese e i suoi luoghi, fin da quando ci visse bambina e frequentò il liceo classico Cairoli.
Al Piccolo Teatro di Milano è allestita la camera ardente dalla mattina di giovedì 30 maggio, dalle ore 10 (resterà aperta anche di notte) e Franca Rame verrà poi ricordata con una cerimonia laica la mattina di venerdì 31 maggio, alle ore 11, davanti al Teatro Strehler.
La tumulazione avverrà al Famedio.
Ecco una testimonianza del suo rapporto con la nostra città e con La Prealpina in due interviste, una in compartecipazione con il marito, pubblicate negli ultimi anni da Laura Balduzzi su Lombardia Oggi.
* * *
L'ULTIMA VOLTA A VARESE
(Intervista del 12 febbraio 2012)
Casa Fo, un qualsiasi martedì di febbraio. Dario è in atelier, Franca è
appena tornata dal mercato. In un periodo in cui concede preziose repliche
del celebre «Mistero buffo», scrive testi in cui afferma che Dio è nero ed è
donna, firma una lettera appello al Papa per chiedere di Emanuela Orlandi,
regala a Saviano il bozzetto di un quadro dedicato a lui per festeggiarne la
cittadinanza onoraria milanese, il Nobel Dario Fo riversa tutta la sua
invidiabile energia di 85enne nella pittura.
«È chiuso da mattina a sera
nell’atelier sotto casa nostra - racconta Franca Rame - , è matto, non pensa
ad altro: sta dipingendo tele enormi, di tre metri per cinque, ottanta
lavori nuovi per la grande mostra che il Comune ha in progetto a Palazzo
Reale. Ancora non è ufficiale, nel senso che non è stata deliberata, ma
dovrebbe essere a primavera».
E dunque lasciamo lavorare il maestro, come
giustamente lo chiama il suo assistente, e chiacchieriamo con Franca, 82
anni, colei che tiene in ordine l’archivio della compagnia oltre che la vita
e le opere del celebre marito e che sarà in scena con lui anche al teatro
Apollonio di Varese sabato 18 febbraio per riproporre il bellissimo monologo
di «Maria alla croce».
RADICI Dario è nato a Sangiano il 24 marzo 1926 e vissuto a Luino, dove il
papà Felice era capostazione, fino a che non si è iscritto all’accademia di
Brera e si è dunque trasferito a Milano. La Rame, figlia di commedianti
dell’arte e abituata ad andare in scena da quando aveva 8 giorni, ha
trascorso nella Città Giardino gli anni belli dell’infanzia e
dell’adolescenza, faceva i bagni nel lago che allora era pulito. Sabato a
Varese non avrà le mani sudate come tutti gli altri attori, ma una piccola
emozione diversa la vivrà di sicuro sul palco di piazza Repubblica: «Sono
felice di recitare a Varese - dice - e spero di rivedere le mie amiche,
anche se qualcuna non c’è più. A Varese sono arrivata che avevo 5 anni e
sono andata via che ero signorina: ho studiato dalle suore al collegio
Sant’Ambrogio e poi ho fatto il liceo classico Cairoli ma non mi sono
diplomata. Ho tanti ricordi belli».
POLITICA Qualche settimana fa Roberto Maroni ha riabbracciato Umberto Bossi
sullo stesso palco dove reciteranno Fo e la Rame: «Allora pesteremo un po’ i
piedi: Maroni ha brillato qualche volta, ma alla fine la Lega è sempre la
Lega...» dice l’attrice, che con Dario ha sempre militato a sinistra,
facendo parte anche di Soccorso Rosso Militante negli Anni di piombo. Ed è
stata senatrice dell’Italia dei valori per i 19 mesi peggiori della sua
vita, passati a Roma «maledicendo il mondo»: «Mi sono dimessa a causa della
guerra in Afghanistan, l’unico vantaggio di quel periodo è stato quello di
vedere da vicino e capire la politica. Ora so cosa dovrebbe fare Monti: come
prima cosa dimezzare i parlamentari, mandarli a casa, massimo 100 senatori.
E poi, anziché fare battute sul posto fisso e aumentare le tasse, dovrebbe
cominciare seriamente a combattere l’evasione fiscale ispirandosi al sistema
americano». Temi che la Rame tratta anche nel suo blog sul «Fatto
quotidiano».
SANREMO La serata varesina è in contemporanea con il festival di Sanremo
dove il suo super ospite Adriano Celentano devolverà in beneficenza il suo
cachet. Dario: «Conosco Celentano da moltissimi anni e sono sicuro che farà
le cose per bene. Ne conosco l’umanità e la buona fede. E questa è l’unica
cosa che conta. Il resto lo lascio ai pessimisti, quelli che non muovono un
dito per nessuno. Anche io quando presi il Nobel utilizzai il premio in
denaro per fondare "Nobel per i disabili" sostenendo associazioni di
volontariato per medicinali e pulmini per persone con handicap».
MISTERO BUFFO Il testo che va in scena sabato a Varese è nato nel 1969 e da
allora, con più di 5mila allestimenti in tutto il mondo, non smette di
piacere e di stupire. «La prima assoluta avvenne nel 1969, in un’aula
dell’Università Statale occupata - racconta Dario in una breve pausa dalla
pittura -. Ero a un’assemblea degli studenti, tutti seduti per terra a
discutere ore e ore. Finché, forse non potendone più, mi invitarono: dai
Dario, adesso tocca a te, facci qualcosa... E io, che avevo appena studiato
alcuni testi tratti dalla letteratura popolare medievale e dai Vangeli
gnostici, per un’ora e mezzo andai a ruota libera, mescolando con il mio
grammelot sacro e profano, cronaca e storia, satira e poesia».
Ora la Nobel coppia ripropone «Mistero buffo» nella versione originale, che
comprendeva già brani ormai storici come «Bonifacio VIII», «Le nozze di
Cana», «La resurrezione di Lazzaro» e «La fame dello Zanni», ma anche tante
altre storie aggiunte o tolte a seconda delle occasioni.
«Il corpus del
Mistero conta una cinquantina di testi... Molti li abbiamo ritrovati nel
nostro archivio, dimenticati, mai più recitati, magari da 30 anni...»,
spiega Dario. E per capire come il testo evolve nel tempo, ecco cosa dice
del celebre papa vanitoso: «È diventato più complesso e divertente ancora.
Bonifax ormai è la summa di tutti i papi che ha attraversato: da Paolo VI
fino a Benedetto XVI. Certo, l’apporto migliore forse gliel’ha dato Wojtyla.
Pontefice atletico, sportivo, che sciava e andava in bicicletta. Pedalando
l’ho fatto volare fino in cielo... Ma anche papa Ratzinger non scherza.
Virare il grammelot nel suo tedesco curiale è uno spasso». Per lui ma
soprattutto per il pubblico.
***
QUANDO STUDIAVO DALLE SUORE
(Intervista del 21 febbraio 2010)
Ottant’anni compiuti il 18 luglio, quasi sessanta trascorsi accanto a Dario
Fo. E, prima, il teatro «all’improvvisa» che Franca Rame ha imparato sin da
piccola, nata (a Parabiago ma per caso, perché c’era spettacolo lì) in una
famiglia di marionettisti di cui si trovano le prime tracce nel 1600. E che
nel 1920, con l’avvento del cinema, ha cominciato a fare teatro di persona
recuperando la tradizione tutta italiana della commedia dell’arte, basata su
un intreccio, alcuni personaggi e tanta improvvisazione.
«Una delle prime
volte che ho recitato con Dario - racconta -, non ricordavo il copione e ho
inventato, come facevo sempre: Dario mi ha guardato con gli occhi sbarrati,
poi ha risposto alla battuta, ci ha preso gusto e non si è più fermato».
Franca Rame. Una vita fatta di teatro, lotte civili e processi, una storica
«Canzonissima» (1962), il Premio Nobel per la letteratura (1997) a Dario,
spettacoli conosciuti in tutto il mondo come «Mistero buffo» (1969, entrato
nei giorni scorsi nel prestigioso repertorio della Comédie-Française di
Parigi) o «Tutta casa letto e chiesa» (1977), fino a un capolinea politico
che è stata l’esperienza in Senato per l’Italia dei valori (2004-2006).
Franca Rame tutte queste cose le racconta nella sua biografia, «Una vita
all’improvvisa» (Guanda).
Le racconterà anche al pubblico di Varese, dove i
Rame sono vissuti per parecchi anni e dove tanti se li ricordano, domenica
28 febbraio alle 18 al teatrino Santuccio di via Sacco.
Franca, qual è il suo primo ricordo varesino?
«La scuola, il collegio Sant’Ambrogio di Varese, dove mia madre mi mise
perché mi ero ossigenata i capelli. Mi trascinò dal parrucchiere, me li fece
tagliare cortissimi e tingere di nero e poi mi "internò" dalle suore. Era
una donna molto severa e perbene».
Lei dalle suore?
«Sì, già avevo fatto la quinta elementare, ma da esterna, invece le medie le
feci da interna. Mi adattai, come sempre. Sono una creativa, mi inventai la
pesca: un faccione di una luna due metri per due con i buchi per gli occhi
da cui mettevi dieci lire e ti usciva un premio. Oppure, io e una mia amica
zoppettina che la domenica eravamo sempre senza nessuno (i miei facevano
spettacolo, mia mamma veniva al giovedì), facevamo mazzolini di viole da
vendere ai genitori degli altri».
Dopo le scuole medie?
«Ho fatto il ginnasio e poi il liceo classico Cairoli, sulla collinetta,
passavo tutte le mattine davanti alla Villa Triste, quella dove torturavano
i partigiani. Però non ho fatto la maturità, anche se la mia insegnante di
italiano e latino, una bionda simpatica che mi voleva bene, inistette molto.
Ma io già recitavo con i miei, andavo a letto tardi, come facevo a
studiare?».
Dove recitavate a Varese?
«A Biumo, mio papà montava il teatro viaggiante in un grande cortile. E poi
a Belforte, in alto, lì c’erano la Mariuccia e la Valeria che erano mie
amiche».
Cosa ricorda della sua casa?
«Abitavamo in una corte con due ingressi: uno da via Walder, molto
rispettabile e perbene, l’altro da via Frascone, che ai tempi non era una
via molto ben frequentata».
Ha ancora amiche a Varese?
«Poche, due o tre tra le mie coetanee. Invece ho un’amica più giovane, che
si chiama Elena e che ho conosciuto più di vent’anni fa, quando ero in
televisione e lei è venuta a portarmi un sacco di firme per la legge sulla
violenza sessuale. Lei la sento regolarmente e la vedo un paio di volte
all’anno».
Le sue coetanee come si chiamano?
«Luisa Caccivio, che era la figlia del tappezziere, una carissima amica dei
tempi. Poi c’era la Dina, la figlia del cieco».
E poi ci sono tanti varesini che dicono di conoscerla per aver recitato con
lei per caso, una sera soltanto, quando da spettatori si sono ritrovati sul
palco perché mancava qualche attore. È vero?
«È verissimo. Mi ricordo una domenica che mancava un attore nella Tosca: mio
fratello, che in questo era un genio, è morto cadendo nel pozzo e si è
preparato a fare l’altra parte. Dal pozzo anziché lui hanno tirato fuori il
Caccivietto, il fratello della Luisa Caccivio, che era un bambino piccolino
e gracile. Dal pubblico qualcuno urlò: s’è scurcià! E mio zio subito: il
potente veleno gli ha fatto rattrappire i nervi! Io ridevo come una matta.
Questa era la mia famiglia: all’improvvisa»
Lei era (ed è) una bellissima donna: ha infranto qualche cuore a Varese?
«Ma no. Però ho avuto un grandissimo amore: si chiamava Uberto Urbani, era
bellissimo, alla Gary Cooper, un campione olimpionico di canottaggio, ma
Dario dice europeo perché è geloso. Una volta che mi invitò a pranzo a
Milano Dario e Jacopo mi misero un tale muso che dovetti inventare una scusa
per non andare. Ai tempi la sua famiglia si vergognava di me perché noi
facevamo il teatro, allora la mia mamma, che era una donna orgogliosa, si
offese a sua volta e non voleva che lo vedessi. Fu un amore travagliato. Ché
poi loro facevano i rappresentanti di pellame, mica erano dei principi!».
L’ha più visto?
«Sì, è venuto a teatro qualche anno fa, quando io facevo "Sesso". L’abbiamo
messo in palcoscenico, come facciamo sempre quando c’è troppo pubblico, e mi
ricordo che mi guardava con due occhi sbarrati, emozionato: dopo, a cena, mi
disse che non poteva credere che quella ragazza che lui aveva amato tanto
potesse recitare con tanta disinvoltura. Ha avuto un infarto quella notte
tornando a Varese, è morto qualche mese dopo».
Sua mamma e suo papà erano dei grandi personaggi anche nella vita.
«Sì, intanto erano tutti belli, mio papà aveva i capelli bianchi già da
giovane ed era un uomo molto affascinante, seduttivo. E ha fatto cose
straordinarie per gli attori: ha istituito la categoria delle compagnie di
giro ottenendo qualche diritto, ne era lui il rappresentante al ministero a
Roma ed era molto rispettato».
Cosa dissero in famiglia quando lei presentò Dario Fo?
«Papà non c’era, morì quando io avevo 16 anni. La mamma non ne voleva sapere
del Dario perché era un attore, gente allegra...».
E invece?
«Invece siamo sposati da quasi 56 anni e ci vogliamo ancora un gran bene».
Lei è nonna?
«E bisnonna! Perché la mia nipotina Mattea, la figlia di Jacopo, a 17 anni
ha fatto le brutte cose ed è nata una bambina deliziosa che si chiama
Matilde. Poi ho un’altra nipotina, Yaele, che ha 12 anni ed è una regina di
bellezza, tutta presa dai Rame e dai Baldini non certo dai Fo. Anche se il
Dario da giovane aveva un suo fascino, tanto che io me ne sono pazzamente
innamorata».
Lei è stata eletta senatrice nel 2006 e si è dimessa nel 2008.
«Mi sono dimessa poco prima che cadesse il governo. È stata l’esperienza più
orribile della mia vita. Ho buttato via venti mesi correndo come una pazza,
in una solitudine mortale. La Finocchiaro, presidente donna, dopo tutti i
festival dell’Unità che ho fatto mi ha salutato dopo un anno un giorno che
aveva bisogno di me. Al ristorante del Senato ho sempre mangiato da sola».
Ma qualcosa ha fatto.
«Quello che ho potuto. Ho fatto un grande lavoro con i precari. Ero l’unica
senatrice che avesse l’assistente in regola. Ma con 15mila euro al mese si
tiene l’assistente in nero o "cococo"?! E poi ho fatto un lavoro serio
sull’uranio impoverito: tre quarti del mio stipendio andavano lì, in pagine
pubblicitarie sui giornali o aiuti a famiglie con un malato di uranio
impoverito. Ne ho visti morire tanti».
Passiamo al burraco. (ride)
«Ha letto il mio articolo sul blog? Il burraco mi piace molto, mi
rilassa. Uno che lavora tutto il giorno, studia, si impegna, la sera non può
rilassarsi un po’? Tu giochi? Vieni una sera a Milano che facciamo una
partita».
E lei quando viene a Varese, a parte il 28 febbraio per la presentare il suo
libro?
«A Varese vengo il giorno dei morti a trovare mio papà, che è sepolto a
Giubiano, mentre mia mamma è a Cernobbio. E qualche volta quando mi invita a
pranzo mia cugina Lucia Rame».
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