AZZURRO SBIADITO
Le pezze ormai non bastano più
L’analisi di Silvio Tranquillini sulle dimissioni del ct della Nazionale, Roberto Mancini

Il trionfo. Un abbraccio. Le lacrime. Resterà impresso nella mente di tutti, più di ogni altra immagine dell’avventura di Roberto Mancini alla guida della Nazionale, il momento in cui Gianluca Vialli ha stretto a sé il compagno sul campo, l’amico nella vita, colui che lo volle, nonostante la malattia che lo stava corrodendo, come capo delegazione degli Azzurri nell’avventura che ha portato all’incredibile vittoria degli Europei poco più di due anni fa. Sembra un’altra era geologica oggi, dopo le dimissioni del “Mancio” dalla guida dell’Italia. Vialli non c’è più e Mancini ha lasciato ieri la Nazionale nella maniera più clamorosa.
E la giornata di ieri non può non rappresentare un punto di passaggio cruciale per l’ormai imbarazzante reputazione del nostro movimento pallonaro. Quelle lacrime, quel trionfo di sentimento ed emotività sembrano appartenere a un altro calcio, così distante da quello attuale dei petrodollari e soprattutto, in Italia, dei campioni che vacillano tra un top team di casa nostra e una media squadra di Premier League. Sarà stata anche questa prospettiva alla base della scelta del Ct? O forse ha pesato lo scarso amore da parte dei tifosi nonostante un successo, quello all’Europeo, che mancava da oltre 40 anni? O magari il nullo supporto da parte della Figc, sempre muta di fronte agli appelli del tecnico jesino per un maggiore rispetto degli impegni della selezione che rappresenta il Paese nel mondo? Difficile dirlo, certo i retroscena nel giorno dell’addio non possono che sprecarsi: dalla querelle Evani-Bonucci con la separazione da uno dei collaboratori storici di Mancini, alla nomina del Ct a coordinatore di tutte le Nazionali pochi giorni prima del divorzio, fino all’ingresso nello staff azzurro di due personaggi dal peso specifico notevole come Andrea Barzagli e, soprattutto, Gigi Buffon. E se, uscendo da Coverciano, aggiungiamo nomi ingombranti di possibili successori quali Spalletti, Conte, Cannavaro e persino Grosso, ce n’è abbastanza per qualsiasi ipotesi, anche la più complottara. Forse un giorno sarà lo stesso Mancini a chiarire alcuni aspetti, di certo non lo farà la Federcalcio che, quando si trova in imbarazzo, generalmente preferisce il silenzio. Certo è, quale che sia la verità, che il 13 agosto - curiosamente la “giornata internazionale dei mancini” - rappresenta la data di un’ennesima figuraccia per il nostro movimento, subito dopo il terremoto, anch’esso assai poco chiaro, che ha travolto la Nazionale femminile. Vero, l’ex allenatore dell’Inter è uno un po’ fumino e la mancata qualificazione ai Mondiali non gioca a favore dei suoi sostenitori, ma perdere il Ct a meno di un mese dall’inizio delle qualificazioni agli Europei del prossimo anno è a prescindere una sconfitta.
Il fatto che accada con gli elementi di cui sopra fa pensare a una gestione a dir poco fallimentare del rapporto fra Mancini e chi già una volta respinse le sue dimissioni, senza però mai venire incontro alle richieste dell’allenatore azzurro sulla gestione dei giovani nel nostro campionato o sull’annosa questione degli stage.
E la schizofrenia di tanta stampa che ha osannato il Ct, quando vinceva, perché lanciava i giovani per poi criticarne l’eccessivo ricorso alla linea verde quando ha iniziato a perdere, fa capire come il calcio italiano continui a non imparare nulla. Un discorso che vale per tutte le componenti, dai club che insistono con un calciomercato che porta in Italia bidoni da chissà dove e spedisce i talenti del futuro in serie B, fino alla Figc stessa che fa orecchie da mercante di fronte a qualsiasi nubifragio, dagli scandali giudiziari al disastro della situazione strutture, San Siro in testa. Ora anche l’addio di Mancini.
E poi ci si domanda perché il nostro calcio ha le pezze al...
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