IL FISCO
Le tasse non sono mai perfette
L’economista Pietro Paganini: «Strumenti necessari alla convivenza. Ma la pressione fiscale deve essere equa»

Le tasse non sono né buone né cattive, ma nemmeno neutre. Le tasse sono uno degli strumenti necessari alla convivenza. Non per caso si chiamano anche contributi. Una convivenza di cittadini contribuisce a condividere delle spese comuni per garantirsi una serie di servizi che non possono essere realizzati individualmente, oppure se lo fossero costerebbero troppo, o non sarebbero accessibili a tutti. Si tratta per esempio, delle infrastrutture, dei servizi sanitari, scolastici, del welfare, e così via. Le tasse sono come le regole, un accordo che consente ad una convivenza di cittadini diversi, con desideri, aspettative, e interessi differenti, di esistere. La nozione per cui le tasse sono nemiche dei cittadini è errata.
UNO STRUMENTO
Al contrario. Sono uno strumento di chi si affida al metodo Liberale. Le tasse sono uno strumento dello Stato Liberale. Il problema è se sia equa la pressione fiscale, cioè le tasse che si pagano, e quindi il meccanismo di calcolo del peso fiscale. Le tasse come le regole della convivenza non sono mai perfette, perché sono il risultato di una mediazione tra individui con interessi diversi. L’obiettivo è quello di essere eque, ma non saranno mai perfettamente eque. Qualche cittadino si sentirà sempre penalizzato. In questo contesto sono maturati i diversi sistemi fiscali, che altro non sono che il risultato di analisi sperimentali per raggiungere l’equità. Sul concetto di equità, quindi, poggiano diversi modi di vedere il mondo. Per alcuni l’equità deve premiare chi intraprende e guadagna con merito, per altri l’equità deve riconoscere i meno fortunati o più bisognosi, o semplicemente chi è rimasto indietro.
Nella prima interpretazione possiamo individuare la categoria più generale di chi vorrebbe uno “stato minimo” dove ogni cittadino deve fare da sé il più possibile, pagandosi i servizi da solo grazie ai guadagni maturati con il lavoro. Si ritiene che sia un metodo più efficiente e riconoscente della capacità individuale. Il secondo approccio invece ritiene che lo Stato possa fare tanto e meglio per tutti, garantendo più efficienza, soprattutto proteggendo chi potrebbe avere più difficoltà. Tra queste due visioni vi sono decine di sfumature e dettagli su cui poggiano sistemi fiscali diversi.
GLI ESTREMI
Per semplificare potremmo dire che gli USA rappresentano un estremo, mentre i paesi del Nord Europa a vocazione assistenzialista riflettono l’altro. Sono entrambe legittimi purché siano i cittadini attraverso le dinamiche rappresentative dello Stato, per esempio i parlamenti o i consigli regionali e comunali, a stabilire quanto si vuole dare e quanto si vuole avere. Purché questo avvenga con trasparenza. Significa che se do 100 voglio vedere con “trasparenza” come sono “investiti” (o spesi). Sono i cittadini attraverso i loro rappresentanti a stabilire quanto e come. Il problema sulle tasse emerge quando il quanto pagare e il quanto e come spendere sfuggono al controllo dei cittadini. In questo caso, che possiamo riscontrare in Italia, lo Stato che è a garanzia della convivenza dei cittadini diventa “sovrano” e il cittadino “suddito”.
LA DOMANDA DA PORSI
Allora la tassa si trasforma in un’imposizione finalizzata a mantenere un potere acquisito che esula dal controllo e dalla rappresentanza dei cittadini. Perciò si tratta di un'imposta per mantenere un sistema di privilegi che si vuole protrarre nel tempo. In conclusione, non dobbiamo chiederci se le tasse siano belle o brutte ma se riflettano le volontà dei cittadini e favoriscano il potenziamento della loro libera iniziativa, dei loro desideri e delle loro speranze. In realtà farsi la domanda sbagliata corrisponde a voler sostenere una concezione del mondo che non si fonda del cittadino individuo bensì su qualche libro sacro che stabilisce come dovrebbero essere le cose.
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