IL CASO
Ucciso perché l’aveva chiesto lui
Tre anni dopo il delitto di Maurizio Capizzi richiesta di rinvio a giudizio per la compagna e il di lei amante
Fu trovato cadavere più di tre anni fa davanti al cimitero di Garbatola, frazione di Nerviano; subito si pensò a un suicidio. Con l’autopsia alcuni giorni dopo si scoprì, però, che a causare la morte di Maurizio Capizzi, 48 anni, era stato un colpo di pistola, perché aveva l’ogiva di un proiettile nel polmone sinistro. Ora le indagini dei carabinieri di Legnano e della Procura di Milano hanno stabilito che ad ucciderlo furono la compagna dell’uomo e l’amante di lei e, soprattutto, che lo stesso Capizzi chiese, dopo aver tentato il suicidio, di essere ucciso.
Inchiesta chiusa
Per questo il pm ha chiesto il processo per Elena Re e per Flavio Sermasi, che nel gennaio 2017 era stati indagati per omicidio volontario, con la nuova accusa di «omicidio del consenziente» per quella morte del 31 dicembre 2016. È emerso che la vittima, imprenditore edile di origine siciliana e provato da una lunga malattia, aveva lasciato un biglietto dove spiegava la sua volontà di essere ucciso. La richiesta di rinvio a giudizio per i due imputati di omicidio del consenziente, reato che punisce «Chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui» con la reclusione da sei a quindici anni, è stata inoltrata al gup di Milano Alessandra Clemente che dovrà fissare la data dell’udienza preliminare.
La pistola con cui i due hanno ucciso Capizzi, su sua richiesta, non è mai stata trovata, ma gli investigatori hanno rintracciato un biglietto in cui lui aveva spiegato la sua volontà.
Quando il 31 dicembre 2016 il corpo di Capizzi era stato trovato da un passante fuori dal cimitero e a pochi passi dalla sua auto, si era pensato a un suicidio, dato che l’uomo più volte in passato aveva tentato di uccidersi, per problemi finanziari e per una malattia che l’aveva colpito. Si era pensato all’assunzione di un cocktail letale di farmaci. Prima che il corpo venisse restituito ai familiari per il funerale, era risultato visibile, però, un foro sul torace, compatibile con un proiettile e, poi, con l’autopsia era stata trovata l’ogiva. Da quel momento le indagini dei carabinieri, coordinate all’epoca dal pm Roberta Colangelo, hanno cambiato direzione e hanno cominciato a scavare nei rapporti personali dell’uomo, ricostruendo anche una relazione tra i due indagati, all’epoca accusati di omicidio volontario. Quando i militari sono andati a notificare alla compagna della vittima e al suo amante le informazioni di garanzia, Sermasi è stato anche arrestato per il possesso di cocaina. La droga era stata trovata in una cantina di cui l’uomo aveva disponibilità, ma durante il processo lui si è difeso con le unghie e con i denti: «Io sono innocente - aveva detto in aula -. Elena mi ha incastrato, perché voleva liberarsi di me».
Il biglietto
In seguito, gli accertamenti hanno ricostruito che fu la stessa vittima a dare disposizione di essere uccisa. Nell’auto parcheggiata fuori dal cimitero, i militari avevano trovato un biglietto: «Ognuno è libero di scegliere il proprio destino». Per questo in un primo momento l’ipotesi del suicidio era stata presa per buona. La prima svolta era arrivata dopo l’autopsia: ora, alla chiusura delle indagini, ecco la seconda.
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