IL 25 APRILE
Liberati per essere liberi
Dal diario di un ufficiale partigiano: la prigionia in Germania, la censura russa. Il figlio: memorie preziose a disposizione dei giovani affinché non festeggino Hitler

"Dal diario di mio padre, una
minuscola agendina scritta fitta fitta
a matita, nella lunga prigionia vi invio queste righe affinché i giovani non dimentichino quel che è stato e sarebbe bene che non fosse mai più".
Quel che segue è la testimonianza di un ufficiale dell'Esercito italiano, fatto prigioniero dai tedeschi il giorno dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943.
Un ufficiale varesino, poi divenuto ufficiale partigiano e scomparso poco dopo la fine della II Guerra mondiale.
Il suo nome è Antonio Romeo, padre di Pietro, insegnante e ingegnere, e di Giovanni, radioamatore nonché "voce eterea" della Prociv, di Stella, avvocato e di Fortunata, insegnante.
Proprio Pietro scrive: "Mio padre, nel 1953 ricevette l'autorizzazione a fregiarsi del distintivo, con due stellette d'argento, della Guerra di liberazione (Dpr 17/11/48 n° 1590). Se passo la sua testimonianza, fin qui serbata con amore filiale, è perché credo che i giovani debbono sapere che accadde allora, altrimenti finiscono per festeggiare Hitler nell'anniversaro della sua nascita".
***
Dal Diario del Tenente Colonnello Antonio Romeo
9 Settembre 1943 - Postumia -
Bloccati dalla Gendarmeria Germanica.
11 Settembre 1943 h.19.00 - Si parte in autocarro da
Postumia - h.22.30 - Si giunge a S. Vito (Lubiana) - si dorme su semplice
pavimento senza coperta.
13 Settembre 1943 - Da tre giorni non danno nulla da mangiare:
caos nell'accampamento - si dorme per terra senza una coperta, si mangiano
briciole di gallette - Iddio ci assisterà a non prendere dei malanni - privi di
notizie. Al pomeriggio ci portano in un prato, sempre senza coperte.
12 Settembre 1943 - Werdan -
Goeking - Lipsia
13 Settembre 1943 - Posan (Polonia) si arriva a Thurn
sulla Vistole - si torna in baracca, senza coperte.
13 Ottobre 1943 - Tschenstokav -
Stalag 367
Novembre 1943: note
Non ho
voglia di scrivere: quanti pensieri e riflessioni si hanno per la famiglia.
Quanti
sogni con i piccini a giocare e con la moglie che prende rabbia perché si fa
disordine in casa.
Qui si
vive sempre al buio di tutto. Non ci danno la possibilità di avere notizie da
casa.
Ci dicono
sempre tante stupidaggini per tenere
desta la nostra attenzione.
Prevale
sempre la stupidaggine che ci congedano!
E chi ci
crede si illude.
Di qui si
esce solo per riprendere le armi con
loro: non c'è altra alternativa.
Per cui
non bisogna accasciarsi a pensare di non superare la prigionia, anche se siamo
male equipaggiati.
Intanto
prevale la debolezza dell'organismo: i miei battiti al polso si aggirano sui
40/45!
Durante il
giorno ho sensazioni di capogiro.
E'
necessario stare poco in piedi per non sciupare energie. Il vitto è
insufficiente, mai carne, ma un qualcosa per fare il brodo, ma col brodo solo
non si vive. Poi patate ,orzo e verze. Almeno fossero razioni! Si tratta di
poca roba . Il pane? Sarà 300 gr. ogni tre giorni, non di più
Manca la
frutta per evitare lo scorbuto
Al mattino
e alla sera mi danno due scodelle di aglio, con un fuso di cipolla e bietola
,che loro chiamano tè!.
13
Dicembre 1943.S.Lucia
Compleanno
della mia cara Ginetta.
Il fedele
compagno della sua vita fa gli auguri più belli, con la speranza che presto ci
si possa riunire nella quiete della famiglia.
20
Dicembre 1943 S. Liberato
La notte
molto vento, mattino vento freddo, con pioggerella e nevischio, bisogna
stare rintanati.
Ho dovuto
fare il bucato, ma non ho preso tanto fresco. E' una delizia lavare la
biancheria, le scodelle e la gavetta del rancio. Ho le mani come quelle di una
donna di servizio, passerà.
21
dicembre 1943, S.Tommaso
Primo
giorno d'inverno, non fa molto freddo, c'è nebbia. Ho la speranza di superare questi tre mesi che ci fanno
terrore per superare disagi imprevisti.
23
Dicembre, giovedì, S. Vittoria
Si
approssima il giorno che raccoglie tutti attorno al focolare. Sono lontano, ma
con lo spirito presente presso i miei cari.
La fede
nel Signore mi aiuterà a sopportare disagi aggravati dalla più completa
denutrizione.
C'è un po'
di tristezza pensando i cari lontani.
24
dicembre 1943, S. Adele
Giunta
comunicazione da Berlino con l'SS Vaccari.
Si chiede
la solita adesione.
25
Dicembre 1943, Sabato, S. Natale
Vado alla
Santa Messa, giornata piovosa.
26
Dicembre 1943, Domenica, S. Stefano
Giornata
fredda, vento freddo con tempesta di nevischio, ...quanti sotto zero? Oltre i
cinque.
29 Dicembre 1943, mercoledì, S. Davide.
Senza
sole, freddo modesto.
Molte
adesioni alla nota richiesta. Io resisto ancora col fisico. Se dovessi cedere,
Iddio ,i miei figlioli, mia moglie, mi perdoneranno. Sono sempre stato un
fervente patriota e resisterò fino al limite delle mie possibilità fisiche.
31
Dicembre 1943, S.Silvestro
La fine
del triste anno è avvenuta.
Le
invocazioni di tutti sono al Santo Spirito affinché per il nuovo anno ci riservi la fine di questa guerra ed il
ritorno alle care famiglie.
Il mio
pensiero alla cara Ginetta custode dei tre figlioletti che costituiscono tutta
la felicità della mia vita terrena.
Febbraio 1944 - Venerdì, S. Agata
La notte c'è stato
un vento infernale, pioggia, dopo un pauroso tuono, la giornata è piovosa - sto
molto riguardato - grazie a Dio ancora sono stato immune dall'influenza o
malaria.
5 Febbraio 1944 - Sabato - (S. Dorotea). Giornata
piovosa - tempo mite, attendo con ansia un pacco si va avanti con quello di
Spigno , prima della sera.
6 Febbraio 1944 - (S. Romualdo). La notte ha nevicato, la
campagna è tutta coperta da un sottile strato di neve, il tempo è mite, appena
sotto zero, il cielo è coperto di nubi basse.
7 Febbraio 1944 - Lunedì -( S. Onorato). Giornata
nebbiosa non fa molto freddo pur essendoci la neve. Ore 11.00 - occhiata di
sole, pomeriggio bel sole.
8 Febbraio 1944 - La notte cambia.
Neve - Neve - Neve la mattina tutto coperto di neve e continua a nevicare abbondantemente.
9 Febbraio 1944 - (S. Giuliano). Nevica ancora.
Viene annunciato che le settimane entrambe nel rancio non
ci saranno né pasta né patate. Se Dio mi vuole aiutare dovrebbe inviarmi almeno
un pacco di viveri da casa.
10 Febbraio 1944 - Giovedì - (M. Lourdes). Cielo coperto,
il tempo tende a nevicare ancora.
Sono già cinque mesi di prigionia - cucino 25 grammi di
pasta per tirarmi su.
3 Marzo 1944 - Venerdì. Ricevo un pacco da Varese, è
grande gioia. La notte ha nevicato, ma al mattino si ha la prima giornata
serena piena di sole primaverile. Dopo tanto tempo lo spirito si rianima. Una
buona tazza di latte e cioccolato dopo un semestre di attesa mette a posto lo
spirito, che non è mai stato depresso. Certo che il pacco avvicina più alla
famiglia. Tutte le piccole cose che si ricevono danno la sensazione della
vicinanza alla cara famiglia.
4 Marzo 1944 - (S. Lucio ) - Sabato. Ricevuto avviso dalla
Croce Rossa Svizzera per un pacco.
14 Aprile 1944 - Venerdì - molta nebbia poi il sole.
Ringrazio Iddio di avere superato felicemente l'inverno che con la denutrizione
in atto si presentava triste. Adesso con l'aiuto dei pacchi e con la bella
stagione rimane solo l'oppressione dello spirito, di sentirsi rinchiusi fra i reticolati, anche questo finirà e verrà la luce.
LA PRIGIONIA
April:
Sonntag 15 -1945
Wurzen - Si riceve un ordine di
concentrarci in un lager.
A sera l'ordine è revocato. Il Lager
era sulle prime linee di combattimento presso la ferrovia e la Mulda.
Montag - 16 -
La notte arriva da noi la Volkstrun,
ci porta via per la strada di Torgan - Km 30 a piedi.
Si pernotta in un fienile a 6 Km da
Wurzen.
Dienstag - 17
Si parte per Unameviz e ivi si sosta
in un campo prigionieri. Km percorsi 19. Si dorme all'aperto su un prato.
Mittwoch - 18
Si resta in piedi in un campo misto.
Inglesi, Americani, Indiani, Francesi, Russi, Italiani, circa dieci mila.
Domerstag - 19
Vita del campo.
Viveri poco o nulla, qualche
cucchiaio di farina di segala, qualche patata cruda. Esco fuori in paese e con
raggiri ottengo una tessera per viveri così compero pane, ricotta e patate e si
mangia. L'indomani faccio lo stesso, finché il supplizio ha termine.
Sonnabend - 21
Rischi e peripezie non li descrivo
perché non ho voglia di rievocare l'inferno.
Sonnstag - 22
Iddio come sempre mi ha voluto
preservare dai pericoli, anche la salute mi ha assistito benché si dormisse
all'aperto e si facessero grandi sacrifici fisici.
Dienstag - 24
Si riparte per assegnarci agli
Americani a Wurzen. Siamo tutti mischiati fra Russi e Americani.
Si arriva a mezzogiorno a Wurzen e
siamo liberi.
Mittowoch - 25
Si parte per Grammy - Km 20 circa.
Dommestag - 26
Si pernotta in una cascina bruciata
ieri in attesa di passare il ponte.
27 - April -
Freistag
Passaggio del ponte di Grimmus. Siamo
salvi. Finalmente si entra in campo americano.
Ci danno viveri a secco delle loro
scorte per rimetterci su.
Alloggio in un capannone in legno con
paglia a terra.
29 - April Sommstag
Sosta a Grimmus - attesa ansiosa per
il rimpatrio.
13 - Mai - Sommstag
Da Grimmus si parte a piedi per
Altenberg Crimshen Km 18 - sosta all'aperto.
14 - Mai - Mostag
Si giunge e si sosta ad Alenberg - Km
39
15 - Dienstag
Sosta ad Altenberg in attesa di
ritorno a Grimms.
17 - Dommerstag
Si parte in ferrovia per Borna -
viaggio inero non eravamo attesi. Ci sono Americani di scorta.
19 - Sommstag
Si sta male alloggiati.
Relazione
sulle vicende del periodo trascorso in prigionia in Germania e Polonia.
Rassegno la presente
relazione nella quel sono riassunte vicende della mia prigionia.
Tali vicende dolorose
furono comuni con molti altri Ufficiali, non solo del Genio, ma anche delle
altre armi.
Tuttavia esse sono qui
da me esposte, con la fedeltà consentitami dal mio ancor vivo ricordo e con la
maggiore obbiettività, al solo scopo di fornire il materiale, da cui
l'Ispettorato possa trarre, ove lo ritenga opportuno, gli elementi per la
pubblicazione di cui è cenno nel dispaccio n. 4176 del 20 Dicembre dell'Ispettorato stesso.
Il 10 Settembre 1943,
a Pavia, io ed altri Ufficiali fummo fatti prigionieri dai tedeschi, e condotti
indrappellati, alle 4 di notte, alla stazione, guidati da un maresciallo.
Non essendoci stato
precisato nulla circa la nostra sorte, siamo partiti senza portare al seguito
neanche un indumento.
Ci scortavano militari
tedeschi con i fucili mitragliatori imbracciati e ci seguivano autocarri con
fari accesi per impedire la fuga.
Giunti alla stazione,
siamo stati rinchiusi in vagoni ferroviari.
Scaricati a
destinazione, a Mantova, sempre con la scorta di tedeschi (che in viaggio
vigilavano sui tetti dei vagoni e sparavano su quelli che eventualmente
tentassero la fuga) siamo stati condotti nella caserma montanara, ove alla
rinfusa siamo stati ripartiti nei vari dormitori.
Nell'attraversare a
piedi la città di Mantova, i militari di scorta sparavano in aria per impedire
alla popolazione di venirci incontro.
Nella caserma
Montanara, il rancio ci fu fornito dal Comune.
Si dovette dare la
caccia ai recipienti di qualsiasi genere, sporchi o puliti che fossero, per
poter prendere il rancio.
Code interminabili, di
migliaia di Ufficiali, si snodavano, sotto il sole, per cercare di prendere un
mestolo di minestra per ciascuno.
Qualche volta ci hanno
dato anche del pane.
Nei giorni che si sono
susseguiti, dei nostri famigliari hanno seguito il nostro pellegrinaggio e sono
venuti a trovarci nella caserma ove eravamo rinchiusi.
Scene indescrivibili
si svolgevano agli ingressi, ove i tedeschi hanno usato talvolta anche il
frustino per tenere a freno le nostre mogli e i nostri famigliari che si
accalcavano ai cancelli per cercare di vederci o di portarci qualcosa.
Improvvisamente, dopo
5 giorni dall'arrivo, ci hanno di nuovo inquadrati e condotti a piedi alla
stazione, facendoci partire per ignota destinazione.
Prima della partenza,
hanno chiesto quali di noi fossero inscritti al p.n.f. e ci hanno invitato
anche a segnalare gli eventuali incarichi ricoperti nel partito stesso.
Alla stazione erano i
nostri bagagli, i bagagli cioè di quelli che erano riusciti a farsi portare
dalla famiglia qualche indumento.
Gli altri non
portavano nulla con sè, o solo qualche straccio, razziato fra gli spogli dei
soldati che occupavano prima del nostro arrivo la caserma.
Alla stazione, poiché
i bagagli erano stati scaricati alla rinfusa, è stato un problema serio
rintracciarli, mentre i tedeschi, armati, ci minacciavano e urlavano,
probabilmente, di fare presto.
Nel mio caso
particolare, poiché indugiavo per trovare i tascapani nei quali avevo messo
alla meglio qualche indumento, un maresciallo tedesco, urlando nel suo gergo,
mi ha afferrato per un braccio per ricacciarmi indietro.
Siccome non mi sono
dato per inteso, perché mi premeva
ritrovare il mio bagaglio, lo stesso ha estratto la pistola, me l'ha puntata in
fronte e ha fatto scattare il grilletto.
Il colpo non è partito,
probabilmente perché la pistola era scarica.
Comunque il tedesco,
poiché lo fissavo imperterrito negli occhi, ha ricaricato l'arma e me l'ha
puntata in testa minacciando di far partire il colpo.
Visto il mio contegno
impassibile, ha desistito, forse per non fare brutta figura perché non aveva il
colpo in canna; ed in seguito io sono riuscito ad identificare la mia roba e a
riportamela sul treno, in un vagone di 3° classe nel quale ci hanno rinchiusi a
chiave.
Molti di noi, per
mancanza di posti, hanno dovuto sistemarsi sul pavimento.
Prima di partire, i
tedeschi hanno richiesto due Ten. Colonelli perché assumessero il comando di
due Reggimenti.
Dolorosamente,
qualcuno è sceso ed è rimasto in stazione.
Il treno è partito.
Siamo stati in viaggio
6 giorni, attraversando tutta la Germania.
Commuovente era lo
spettacolo di quanti nelle stazioni e nelle fermate venivano incontro ai nostri
vagoni per darci viveri e sigarette, e per offrirci di mandare notizie alle
nostre famiglie, ignare della nostre sorte.
Anche quelli che non
potevano, domandavano scusa di non potere fare nulla per noi perché non ne
avevano mezzi, e correvano alla ricerca di acqua.
Eravamo torturati
tutti dalla sete. I tedeschi per lo più acconsentivano che la popolazione si
avvicinasse ai carri, ma talvolta lo proibivano, adoperando il frustino o
minacciando con le armi.
Il viaggio è durato 5
giorni, durante i quali i tedeschi ci hanno dato da mangiare, complessivamente,
soltanto un Kg circa di pane nero integrale e circa due etti di salame
insipido, che si è dovuto dividere alla meglio per mancanza di coltelli.
E incomincia a
verificarsi qui la miseria materiale e morale del prigioniero che contende al
compagno la briciola di pane e pretende che le razioni siano fatte al millesimo
di grammo. La fame non fa ragionare, purtroppo.
Arrivati a
destinazione in un villaggio al confine Olandese (Alexaiderf) abbiamo fatto,
sempre a digiuno, circa 20 Km di marcia portando in spalla i nostri bagagli.
Siamo arrivati al buio perfetto.
Parecchi di noi non
allenati alle marce cadevano per strada e gli altri, al buio, cadevano a loro
volta sui caduti. Molti si sono anche feriti, senza ricevere medicazioni o
soccorsi di sorta.
Siamo stati rinchiusi,
come bestie da serraglie, in baracche dove erano dei castelli di legno triposto
privi di assicelle di legno e di materassi. Molti hanno dovuto dormire per
terra.
Io personalmente, dopo
5 notti nelle quali ho dormito seduto a terra, perché non c'era neanche spazio
per sdraiarsi; sono riuscito ad avere un posto per stare sdraiato su di un
tavolo. L'assistenza sanitaria era nulla, molti nostri colleghi avevano febbre
alta e già si vedevano palesi i sintomi di mali occulti.
Il vitto consisteva in
circa 200 gr di pane al giorno, nero, integrale, talvolta ammuffito o
rosicchiato dai topi, una minestra di miglio di circa ½ litro, 20 gr di
margarina e, una volta in 5 giorni 20 gr di marmellata. Alla mattina,
all'appello, venivamo contati da una specie di mongolo, il quale con modi
bruschi e minacciosi in un gergo indecifrabile, ci faceva stare in rango.
Dopo 5 giorni di
permanenza in questo Lager, i tedeschi improvvisamente ci hanno fatto partire.
Prima della partenza hanno di nuovo domandato chi di noi fosse iscritto al
partito fascista e avesse benemerenze fasciste.
Tutti quanti eravamo
stati informati, dalla lettura dei giornali che ci avevano offerti nelle
stazioni italiane, che in Italia centrale e settentrionale era stata proclamata
la Repubblica. Dolorosamente, alcuni di noi, avendo dichiarato la loro appartenenza
al partito, hanno ottenuto di rimanere. Invano molti hanno dimostrato, a mezzo
di Ufficiali Italiani, l'impossibilità di partire.
Ricordo il caso di un
Colonnello con una gamba di legno, di un mio collega privo di un braccio, di
altri completamente privi di denti e di altri tubercolotici. Abbiamo rifatto la
marcia di 20 Km e siamo stati condotti alla stazione. Siamo stati rinchiusi in
carri-merci con le porte sprangate e con i lucchetti. Si prendeva aria dalle
solite piccole finestrine rettangolari, a cui erano applicate inferriate e filo
spinato.
La descrizione del
presente viaggio è simile a quella che si può fare di tutti i viaggi compiuti
durante la nostra prigionia.
Mancava sempre la
paglia su cui potersi coricare. Stavamo in 40 e 50 per carro-merci, senza un
posto dove poter soddisfare i nostri bisogni. Ogni due o tre giorni aprivano i
vagoni per darci da mangiare il solito pane e il solito salame, e un po' di
carne con razioni giornaliere pari a quelle precedentemente segnalate. Davano altresì,
per ogni carro, un secchio di acqua che veniva conteso fra tutti i prigionieri,
molti dei quali non avevano neanche recipienti dove mettere l'acqua stessa.
Durante questa sosta,
5 alla volta e sotto la scorta di sentinelle armate, potevamo soddisfare ai
nostri bisogni, mentre le sentinelle stesse urlavano nel loro gergo di fare
presto e talvolta prendevano a colpo di calcio di moschetto quei prigionieri
che per forza naturale di cose non erano sufficientemente veloci nel soddisfare
i propri bisogni.
Molti, fra cui dei
vecchi di 65 anni, hanno avuto dei gravi disturbi di intasamento intestinale
con coliche violente e febbre. Qualcuno con gli scossoni del treno si è ferito
urtando contro le pareti del vagone chiuso. Ricordo il caso di un Capitano
degli Alpini che, come poi si è saputo, ha avuto fratturato una costola. Non
solo era possibile avere nessun soccorso ma era altresì impossibile poter
comunicare alla scorta qualche cosa degli incidenti che si verificavano.
Dopo 7 giorni di
viaggio per la Germania in queste inumane condizioni siamo giunti in Polonia.
La popolazione della città, dove siamo scesi, (Przemeys) ha tentato di gettare
da lontano alcune mele o alcune sigarette, ma i tedeschi hanno minacciato di
fare uso delle armi.
Siamo stati condotti, con 10 Km di marcia, in un Lager, dove siamo stati immatricolati e, finalmente,
dopo circa un mese dalla cattura abbiamo avuto uno stato civile da prigionieri.
Abbiamo avuto in
questo Lager lo stesso trattamento che nel precedente Lager, con l'aggravante
che c'era pochissima acqua. Un filo di acqua, per oltre 2000 persone, veniva
erogato soltanto dalle 7 alle 8 del mattino, dalle 11 alle 13 e, talvolta anche
per un'ora alla sera.
In questo Lager
abbiamo avuto una prima organizzazione di Comandi Italiani, con suddivisione in
blocchi, con alla testa la magnifica figura di soldato del Colonnello dei
Bersaglieri De Micheli, del quale parlerò in seguito.
Siamo stati in questo Lager 25 giorni. Qui tre volte hanno fatto delle
conferenze per indurci ad aderire alla Repubblica Italiana, o per far parte
delle SS tedesche. Minacce aperte non ne sono state mai fatte; però esse erano
implicite nei discorsi dei vari oratori, purtroppo italiani.
Dolorosamente, anche
qui alcuni di noi hanno aderito e sono passati subito al comando tedesco del
campo dove hanno ricevuto un trattamento di vitto ed alloggio migliore del
nostro.
Il nostro vitto
consisteva in: al mattino, mezzo litro di acqua calda nel quale era mezzo
grammo di surrogato (non di caffè); alle 11, mezzo litro di brodo, credo
vegetale, senza grassi. Inoltre ci davano circa 300 gr di pane al giorno, nero,
integrale, spesso ammuffito, con muffe policrome: gialle, rosse, bianche,
verdi, verdoline: era palese ... l'avvento della penicillina ..., 20 gr di
margarina, 25 di zucchero e 20 di marmellata. Alla sera, altro mezzo litro di
brodo come al mattino.
Gli alloggiamenti, in
baracche, erano freddissimi, anche qui molti casi di malattie e di deperimento.
Dopo un mese circa
dalla cattura ci è stato finalmente consentito di scrivere a casa, su una
cartolina con poche parole. Le condizioni di vita erano assolutamente
disagiate, non vi era carta neppure per uso intimo, per cui molti Ufficiali
erano costretti a lacerare della biancheria.
Dopo circa un mese
dall'arrivo abbiamo avuto qualche pagliericcio, costituito da carta con dentro
dei trucioli di legno.
Un pomeriggio,
improvvisamente, ci hanno avvisato che gli Ufficiali Superiori partivano il
giorno dopo per destinazione ignota. Al campo rimasero il Comandante Colonnello
De Micheli e tutti gli Ufficiali Inferiori.
Mesi dopo abbiamo poi
saputo che il Colonnello De Micheli, sfidando la sorveglianza dei tedeschi, vi
raccolse i giuramenti di alcuni Ufficiali di prima nomina.
Denunciato da un traditore, il Colonnello De Micheli fu successivamente
messo sotto processo, e deferito al tribunale di guerra. Egli ci raggiunse mesi
dopo nel successivo campo di Cestochowa, dove fu rinchiuso in una cella, dalla
quale usciva per un'ora al giorno, per passeggiare con la scorta di una
sentinella con la baionetta innestata. Non poteva comunicare con alcuno, ci
limitavamo a sostare sull'attenti e a salutarlo mentre passeggiava scortato
come un delinquente.
Noi altri Ufficiali
superiori fummo fatti partire, come sopra detto, dal campo di Przemeys per il
campo di Cestochowa. Solito viaggio, nelle solite condizioni, che durò un
giorno. Rivista minuziosa dei bagagli alla partenza e all'arrivo. Marcia con i
bagagli in spalla dal campo di partenza alla stazione e dalla stazione di
arrivo al nuovo campo.
Qui percorremmo la
città, mentre da molte case polacche ci venivano lanciate sigarette e frutta,
malgrado gli urli della scorta tedesca che minacciava di fare uso delle armi.
Nel campo di
Cestochowa fummo alloggiati in caserma. Lettini in legno biposto, con i soliti
pagliericci. La sistemazione era uguale a quella dei nostri soldati in Italia
nei tempi normali. Abbiamo vissuto in questa caserma per ben 10 mesi.
Di notevole in questo
periodo vi fu l'assidua propaganda per indurci ad aderire. Venne perfino un ex
Generale Italiano, Cuturi, il quale ci suggerì di "passare sopra alla piccola
pregiudiziale del giuramento", pena non so che cosa. Ci invitò anche a far
parte delle "balde divisioni repubblicane che erano in formazione", ecc...
Molti purtroppo accettarono. Costoro furono mandati in una casermetta a parte,
dispensati dagli appelli tri-quotidiani, fatti sul ghiaccio con una temperatura
massima di 16 gradi sotto zero, e agli stessi fu concesso un vitto speciale a
base di carne, ecc.
Noi, affamati, scalzi, laceri e mal coperti, non abbiamo
avuto, per tutta la durata della prigionia, una calzatura o un indumento, anche
vecchio. Ci hanno dato in distribuzione soltanto due copertine leggere.
Per giunta, i tedeschi
facevano passare sotto i nostri occhi, mentre in rango aspettavamo al gelo,
talvolta perfino due ore, il sottoufficiale che venisse a contarci (eravamo
alla mercè di sottoufficiali e caporali) tutte le vivande destinate ai repubblicani.
Neanche i febbricitanti erano dispensati dall'appello.
In questo campo si è
verificato in pieno l'opera disgregatrice che i tedeschi compivano sul nostro
esercito; perché, mentre da un lato tendevano a deprimere ed avvilire la figura
dell'Ufficiale, dall'altro trattavano il meglio possibile i soldati. Questi
erano vestiti benissimo, alloggiati meglio di noi ed avevano a disposizione
molta luce e vitto in quantità, se non in qualità, molto superiore alla nostra.
Gli Ufficiali erano costretti a fare da sé la pulizia anche nei gabinetti, a trasportare il rancio con pesanti
mastelli fino al 3° piano delle caserme dove erano alloggiati.
Penosissima era la
marcia delle comandate di Ufficiali sul ghiaccio, sotto un vento gelido per
trasportare, dalle cucine alle camerette. Analoghe fatiche si dovevano fare per
trasportare il carbone e la legna dalle carbonaie al posto di impiego. Le marce
erano per alcuni di noi di oltre 500 Mt., di tante cioè quanto era lungo il
casermone nel quale eravamo alloggiati, essendo carbonaie e cucine alle
estremità del casermone.
I medicinali erano
scarsissimi, e l'assistenza sanitaria nulla, perché i medici italiani non
avevano i mezzi per curare. Si è dato il caso di un Colonnello (Concaro, dei
carristi) il quale è caduto; ricoverato all'infermeria, malgrado le insistenze
dei medici che chiedevano un'urgente radiografia, il Colonnello è stato degente
per oltre una settimana e i medici non sapevano che cosa fare, perché se si
trattava di frattura doveva stare immobile, se si trattava di contusione o
distorsione doveva camminare.
Finalmente, dopo una
settimana di patimenti del Colonnello Concaro, i tedeschi si sono decisi a
mandarlo in ospedale, dove gli hanno fatto una radiografia e immediatamente
hanno proceduto all'ingessatura totale della gamba. Alla fine della prigionia,
cioè dopo quasi due anni, il Colonnello zoppicava ancora.
Nel mio caso
particolare, un giorno, mangiando il pane duro ho subito la rottura di un
apparecchio di protesi dentaria; disgraziatamente ho ingerito un pezzo con 3
denti e dei ganci. Sono stato portato in infermeria. I medici non hanno potuto
ottenere dai tedeschi che mi si facesse una radiografia. L'unica cura a cui mi
hanno sottoposto è stata quella di farmi inghiottire a tutta velocità circa 2
Kg di patate bollite che i medici hanno fatto "rubare" alla cucina, sperando
che il bolo alimentare trascinasse con sé il pezzo ingerito. Non mi è stato mai
possibile ottenere una radiografia. Dopo due mesi, in seguito alle vive
insistenze dei medici, sono stato mandato fuori da un dentista civile, per una
nuova protesi.
Sono stato scortato
sempre, attraversando la città di Cestochowa, da un interprete che portava in
saccoccia una pistola carica con il colpo in canna e teneva sempre la mano
sull'arma. Dietro di me, che dovevo marciare al centro delle strade cittadine,
alla distanza di circa 2 metri, camminava un soldato tedesco con fucile, colpo
in canna, baionetta innestata e puntata alle mie reni. Deve tuttavia
riconoscere che, malgrado la mia debolezza per denutrizione, ho sempre imposto
ad entrambi un passo più che gigantesco e non ho mai marciato a testa alta,
alla testa del mio battaglione, come in quella circostanza in cui venivo
tradotto come un pericoloso delinquente per le strade frequentate di una città
estera.
La mortalità fra noi
Ufficiali raggiunge la cifra globale del 2%. I morti venivano lasciati, per 3 o
4 giorni, in un sotterraneo, alle mercè dei roditori, e quindi venivano posti
in casse di legno.
Il Comando italiano
ottenne che a questi poveri morti venisse concessa una croce di legno; e,
quando poi siamo andati via da Cestochowa, abbiamo ottenuto che 20 di noi
andassero a dare l'estremo saluto ai compagni caduti per la fame e per gli
stenti.
La posta arrivò per la
prima volta in questo campo circa 4 mesi dopo la nostra cattura. Cominciarono
ad arrivare anche i pacchi dall'Italia. Ciascuno di noi doveva andare
nell'apposito locale e aspettare per ore ed ore i comodi dei tedeschi i quali
brutalmente disfacevano i pacchi, approntati, con tanta cura e sacrificio,
dalle nostre donne e gettavano alla rinfusa il contenuto con malagrazia nella
coperta che avevamo portato; quindi ciascuno di noi tornava in camerata
marciando sul ghiaccio, sotto il vento sforzando, portando sulle spalle la
coperta carica del contenuto del pacco. Molta roba veniva asportata dai
tedeschi senza norma e senza criterio.
Gli imballaggi non
venivano consegnati e neanche le scatole, di cui ci versavano il contenuto
negli improvvisati recipienti che eravamo tenuti a portare.
Il giorno 29 Marzo
1944 fu una giornata particolarmente fredda, vento gelido e sferzante; fummo
svegliati due ore prima del solito e fatti scendere all'aperto; non ci fu verso
di convincere i tedeschi a lasciare in camerata i febbricitanti, taluni dei
quali Colonnelli anziani e con febbre altissima (oltre 38°). Stemmo all'aperto
e digiuni fino alle ore 17, vale a dire per circa 12 ore.
Nel frattempo squadre
di SS tedesche perquisivano minuziosamente tutti i nostri giacigli e le nostre
cose, asportando anche viveri e documenti di nessuna importanza per i tedeschi.
Alle ore 17 fummo perquisiti anche personalmente, fummo spogliati quasi a nudo
e quindi fummo rimandati in camerata ove trovammo tutto sottosopra. Qualcuno
dei nostri colleghi sepolti a Cestochowa deve la sua fine a quella tragica
giornata, trascorsa all'aperto sotto la tormenta.
Un altro giorno i
tedeschi ci ordinarono di consegnare tutti i documenti di riconoscimento che
avevamo, anche gli innocui documenti non muniti di fotografia. A nulla valsero
le proteste del Comandante italiano del campo il quale citava in proposito le
convenzioni internazionali che vietano di togliere ai prigionieri i documenti
di riconoscimento.
Molte furono le
richieste fatte dai tedeschi per farci aderire, per lo meno al servizio dei
lavoro; con spiccata preferenza per quelli che avessero titoli di studio o
avessero esplicato attività professionali nella vita civile.
Molti Ufficiali presi
dalla fame e dagli stenti aderirono.
Fra le lusinghe
escogitate dai tedeschi per indurre noi Ufficiali superiori Italiani ad aderire
vi fu quella di mandarci a casa in Italia per malattia se avessimo aderito. La
maggior parte di noi era di età avanzata; molti avevano all'attivo mutilazioni
e malattie contratte nelle passate guerre o si erano ridotti molto malandati in
salute per forte deperimento organico o per malattie polmonari contratte in
prigionia. Io personalmente, pur non avendo malattie specifiche, avevo perduto
38 Kg di peso.
Di tanto in tanto gli
Ufficiali che l'avessero richiesto venivano sottoposti a visita di controllo,
facendo loro balenare il miraggio del ritorno in Italia, qualora si fossero
impegnati ad aderire alla r.s.i.
Nel mio caso
particolare, quando fui dimesso dall'infermeria per la ingestione della
protesi, il Ten. Colonnello medico italiano, direttore dell'infermeria, dopo
circa un mese di insistenze presso il capitano medico tedesco ottenne che lo
stesso mi visitasse perché non ero assolutamente in condizione di mangiare per
mancanza della protesi dentaria.
Il detto medico
tedesco mi domandò se preferivo essere curato sul luogo, ovvero rientrare in
Italia. Gli chiesi a quali condizioni sarei potuto rientrare in Italia, ed
avendomi egli detto che esse mi erano ben note, e che la mia domanda era
inutile, dichiarai senz'altro che preferivo essere curato sul posto.
Dò qui l'elenco degli
Ufficiali del Genio i quali a Cestochowa hanno aderito alla Repubblica o almeno
al Fronte del Lavoro. Fortunatamente essi sono 6 soltanto su circa 150
Ufficiali.
1. Ten. Col S.P.E LA FORESTA Placido
2. Ten. Col S.P.E. SCAPPINI Gaetano
3. Maggiore Compl. SOLZI Arturo Distretto
Cremona
4. Maggiore Riser. CECCHETTI Eteocle
5. Maggiore Compl. MARCUCCI Del
1° Regg. Pont.
6. Maggiore Comp. CONTUCCI Distretto
Cremona
I primi quattro
aderirono alla Repubblica e partirono subito per l'Italia. Il Maggiore
Cecchetti faceva ampia propaganda e inveiva contro quelli che non aderivano.
Gli ultimi due aderirono al Fronte del Lavoro, furono messi nel "blocco" dei
Repubblicani ma non furono mai impiegati.
Verso i primi di
Agosto venne improvvisamente l'ordine di trasferimento. Fummo suddivisi in due
gruppi, di circa 1000 Ufficiali superiori ciascuno, e fummo fatti partire alla
volta di Norimberga.
Stemmo, per la
circostanza, circa 12 ore all'aperto, al sole, e digiuni. Fummo perquisiti
minuziosamente, dovemmo toglierci gli abiti e le scarpe. Ci fu permesso
soltanto portare con noi il fazzoletto e due Kg di viveri, i quali dovevano
essere contenuti in un recipiente che non fosse né di legno, né di metallo, né
di vetro.
Era venuto da parte
del Comando Tedesco l'ordine di applicare alle scarpe un'etichetta di carta con
il nome del proprietario; ciò allo scopo di poter tenere sequestrate le scarpe
durante il viaggio, per evitare tentativi di fuga.
Il contegno energico
del nostro comandante del campo (Col. Del Genio Amodio) riuscì a stornare
questa disposizione.
Il viaggio fino a
Norimberga durò 7 giorni, in condizioni atroci di ammassamento; non potevamo
neanche stenderci, per mancanza di spazio. Siamo rimasti fino a 4 giorni senza
ricevere viveri e in una settimana hanno aperto la porta soltanto due volte per
farci attendere ai nostri bisognava soddisfare a tutta velocità, e con le
sentinelle armate che ci gridavano di fare presto. Niente acqua per tutto il
viaggio (e si era alla metà di Agosto) perché ci dicevano che bere acqua rende
più frequente il bisogno di andare al gabinetto.
Giunti a Norimberga
raggiungemmo, dopo una marcia di circa 6 Km, il nostro nuovo Lager, di baracche
di legno, vecchie e sconnesse, dove siamo stati fino al Gennaio 1945.
Condizioni di vita
bestiali, addirittura. Dal tetto e dalle pareti delle baracche pioveva acqua
sui letti triposto. Vivevamo, ammucchiati, in 144 Ufficiali Superiori in
ciascuna baracca di circa Mt 20x8. Per riscaldamento venivano concesse
giornalmente 18 mattonelle di carbone del peso di 700 gr, per ciascuna baracca,
e a Norimberga vi era proprio molto freddo e neve altissima.
Fummo costretti a
fabbricare fornellini di circostanza con vecchie latte. I fornellini andavano a
legna con pezzetti microscopici, che ricavavamo dovunque, disfacendo perfino i
nostri letti. Le camerette internamente invase di fumo denso, acre e
asfissiante, e non ci si vedeva neanche in pieno giorno.
La tabella viveri è
del tutto teorica, perché bisogna
calcolare che non sempre davano le razioni segnate, e comunque, sulle razioni
stesse vi era sempre un calo non minore del 20%, dovuto alle varie
manipolazioni eseguite nei magazzini tedeschi prima che arrivassero alla nostra
cucina.
Le latrine erano
all'aperto e anche i lavatoi erano all'aperto.
Bisognava lavarsi
pattinando sul ghiaccio; al mattino si trovavano stalattiti, e i tubi gelati
impedivano che defluisse l'acqua.
Dopo tre mesi circa
di permanenza a Norimberga, venne l'ordine che dalle 22 in poi non si poteva
uscire dalle baracche, neanche per andare nelle latrine. Bisognava usare gli
appositi recipienti che venivano messi la sera nell'interno delle baracche.
Le sentinelle,
dalle altane, sorvegliavano gli accessi alle baracche e frequenti ronde
perlustravano l'interno del Lager. Spesso dei cani venivano lanciati contro
quelli che, costretti dal bisogno, uscivano per andare nelle latrine. Molti di
noi hanno subito l'aggressione di questi cani feroci.
Una notte il
Colonnello Riva, dei bersaglieri, (catturato a Bolzano ove prestava servizio
presso la Gil, e che malgrado a tale carica mai volle aderire) ricoverato
all'infermeria per febbri, fu costretto ad uscire verso le due.
La sentinella tedesca diresse il fascio del proiettore sulla porta della
latrina e ve lo tenne fermo fino a che il disgraziato Ufficiale venne fuori.
All'uscita il Colonnello Riva venne fatto segno a colpi di arma da fuoco e
rimase a rantolare sul ghiaccio a chiamare aiuto per oltre un'ora mentre né i
medici, né il Cappellano militare, né i suoi compagni di infermeria potevano
soccorrerlo perché minacciati dalle armi di una ronda di passaggio che si era
appositamente fermata. Il poveretto fu successivamente dai tedeschi raccolto e
portato nella baracca ospedale, ove spirò dopo qualche ora.
Probabilmente mossi
a pietà dalle nostre miserie condizioni di vita e in considerazione del freddo,
particolarmente atroce in quell'anno, i tedeschi consentirono che delle squadre
di Ufficiali andassero a tagliare legna in un bosco, distante 5 Km
dall'accampamento.
Si trattava di
Ufficiali superiori, di età avanzata, che erano costretti a marciare lungo
tempo sul ghiaccio, trasportando a spalla o trascinando fascine di legno,
mentre i soldati erano dispensati da questo pesante servizio.
Parecchi Ufficiali
cadevano svenuti sulla neve e sul ghiaccio e venivano trasportati all'infermeria
di pronto soccorso, ove però non c'erano medicinali. Vi era una percentuale
altissima di ammalati, i quali erano in una baracca a parte, ma in condizioni
non migliori delle nostre. La stessa visita medica si riceveva dopo avere
aspettato all'aperto, alle intemperie, per entrare poi in un locale ricavato a
mezzo di tramezzo nella baracca infermeria, ove i medici italiani, pur
prodigandosi per noi altri, non disponevano neanche di disinfettanti.
Citerò un mio caso
particolare: nell'andare a fare una provvista di legna, probabilmente una
scheggia mi è penetrata nell'indice sinistro. Sono stato per circa 10 mesi col
dito e con la mano gonfia e con il braccio al collo, con difficoltà inaudita
per la vestizione, la lavatura e altri atti necessari. Ho subìto dei tagli
dolorosissimi; mi è rimasto il dito indice sinistro deformato e anchilosato per
un comunissimo patereccio che, se curato, non avrebbe lasciato conseguenze.
A Norimberga
abbiamo subìto molti bombardamenti, fortunatamente senza vittime. Gli aviatori
erano attratti sul nostro campo dagli obbiettivi offerti dalle batterie
controaeree tedesche annidate nei boschi confinanti con il campo.
Nel detto campo si
trovavano anche degli Ufficiali inferiori i quali, ad un certo momento, furono
inviati al lavoro obbligatorio, malgrado le proteste del Comandante Italiano
del campo (Gentile. Del Genio Vox).
Nel periodo della
mia permanenza a Norimberga, la mia famiglia ha fatto domanda per il mio
rientro in Italia, in considerazione dell'imminente pericolo di vita in cui
versava mia madre, ottantenne e priva di altri figli.
Fui chiamato al comando del campo che mi offrì di inviarmi senz'altro in
Italia, purché aderissi alla Repubblica. Risposi che mia madre avrebbe
preferito morire senza vedermi, anziché vedere il figliolo Ufficiale macchiato
di tradimento. E così, al mio ritorno, io non ho più trovato mia madre.
Alla fine di
Gennaio 1945 fummo improvvisamente fatti partire a scaglioni, per ignota
destinazione. Io fui destinato con un gruppo di 300 Ufficiali superiori, e dopo
7 giorni di viaggio giungemmo a Muhlberg (Elba). Il viaggio fu compiuto in
carri bestiame, nelle solite condizioni, con l'aggravante, stavolta, che la
neve depositata sui tetti dei vagoni ferroviari filtrava nell'interno in modo
che non ci era possibile neanche sedersi sul pavimento fradicio di acqua e
bisognava addossarsi, in 45, in qualche parte del vagone dove non pioveva.
Durante il
percorso, ci siamo fermati due giorni alla stazione di Dresda, senza che i
vagoni ci fossero aperti e senza che ci fornissero viveri. Nello stesso tempo,
si ebbero diversi allarmi, durante i quali tutti i civili e la nostra scorta
militare si precipitavano nei rifugi, mentre noialtri siamo rimasti chiusi nei
vagoni come bestie destinate al macello.
Giunti a Muhlberg, abbiamo fatto marce e
soste successive all'aperto sotto una pioggia gelida fino alle due di notte,
per la rivista personale e dei bagagli, per la visita medica, per la
disinfestazione, iniezioni anti-tifiche, ecc. In numero di 100 per volta, venivamo
inviati alle docce, denudati, pigiati l'uno accanto all'altro sotto i getti e
successivamente ad aspettare nudi per circa due ore, mentre i nostri indumenti
e le nostre cose personali venivano sottoposti a disinfezione.
Alle due di notte
siamo stati condotti, sotto la pioggia, e rinchiusi in baracche, talmente
ammassati, che in una baracca mancavano non solo i giacigli ma anche lo spazio
per poter sdraiarsi per terra. Alle tre di notte ci vennero distribuiti pane e
carne, viveri di spettanza del viaggio, che non ci davano da cinque giorni.
Nella mia baracca dormivamo fino a 4 per letto biposto, sotto una leggera
coperta, avendo per materasso della carta uso tela di sacco, nella quale
abbiamo trovato un nuovo tipo di imbottitura.
Infatti io ho
dormito su ritagli sottilissimi di carte topografiche, tagliate in strisce
lunghe circa 50 cm e larghe qualche m/m.
Dopo tre giorni si
è presentato un soldato Italiano dai tedeschi, il quale ha "intimato" al
comandante nostro, Colonnello di artiglieria Bruno Toscano, di provvedere per
il giorno dopo all'invio di 5 autisti in non so quale fabbrica di Dresda.
Con stupore
apprendemmo che noi altri 300 Ufficiali superiori eravamo destinati al lavoro
obbligatorio come manovali. A nulla valsero le proteste del Comandante del
campo.
Partirono un primo
gruppo di 50 Ufficiali, e un successivo secondo gruppo di altri 30 Ufficiali. A
questo secondo gruppo avrei dovuto partecipare io; però io riuscii ad evitarlo,
facendomi ricoverare in ospedale.
Da deposizioni
giurate che in seguito, nella mia qualità di Ufficiale addetto al Comando
Italiano del campo prigionieri liberati a Spremberg, ho raccolto da Ufficiali,
anche essi liberati dai Russi, ho saputo che, giunti in una fabbrica presso
Dresda, questi 30 Ufficiali furono invitati a firmare una dichiarazione nella
quale si impegnassero a non fuggire e a non compiere atti di sabotaggio. Per
chi non firmasse era minacciata la fucilazione. I detti Ufficiali rifiutarono
di firmare.
Dopo 15 giorni
circa, i tedeschi tornarono alla carica, pretendendo ora che essi firmassero il
contratto di lavoro. Gli Ufficiali si rifiutarono, dichiarando di non voler
sottoscrivere un atto col quale implicitamente venivano ad accettare uno stato
di cose cui erano sottoposti con la violenza. I Tedeschi hanno insistito e
minacciato. E, visto che non raggiungevano lo scopo, hanno portato alla
fucilazione 20 nostri colleghi, fra i quali il Ten. Colonnello delle Guardie di
Finanza Urbano Ferrucci.
Probabilmente devo
il mio ricovero in ospedale se oggi sono ancora in vita, perché, senza di esso,
sarei appartenuto al gruppo di Ufficiali fucilati ovvero al gruppo degli
Ufficiali rimasti, che per forza dovettero firmare il contratto di lavoro.
Le condizioni di
vita a Muhlberg erano impossibili: le razioni, già scarsissime, furono ridotte
di quasi il 50%. Dovevamo vivere con circa 150 gr. di pane al giorno, 100 gr di patate e mezzo litro di brodo, con
dentro della verdura secca.
Alcuni giorni prima
della liberazione le distribuzioni diventarono irregolari, poi cessarono del
tutto.
Anche dalle
disposizioni giurate, successivamente raccolte, dopo la liberazione, al campo
di Stremberg, si apprese che da Berlino era venuto l'ordine il 21 Aprile per la
nostra fucilazione in massa; e dobbiamo alla fortunata volontaria negligenza
del comandante tedesco del campo se oggi siamo ancora in vita, perché il
capitano non eseguì immediatamente l'ordine, e successivamente scappò con i
suoi soldati.
Per quanto riguarda
le condizioni di vita di quest'ultimo periodo di tempo dirò che esse sono state
le più infami, perché non avevamo neanche l'acqua per bere e lavarci, essendoVi
per tutti un'unica pompa all'aperto, e
quasi sempre guasta.
Il campo di
Muhlberg era internazionale; vi erano soldati di tutte le razze e di tutte le
nazionalità, i quali potevano andare liberamente in giro per il campo, che era
molto vasto. Noi 300 Ufficiali Superiori Italiani, successivamente ridotti a
circa 200 dopo le partenze per il lavoro obbligatorio, eravamo chiusi in due
baracche, come detto, in un recinto di circa 10 Mt. X 100 Mt., rinchiusi come
dei polli, vigilati da sentinelle perché non andassimo in giro per il resto del
campo.
Dal Gennaio 1945,
epoca nella quale arrivammo a Mulberg, non ricevemmo più pacchi. La situazione
alimentare divenne estremamente difficile. Eravamo degli scheletri ambulanti;
la preoccupazione era quella di non arrivare alla fine della guerra, perché le
comunicazioni interrotte non lasciavano sperare che dalla nostra Italia
arrivassero viveri da parte delle famiglie.
Sono stati giorni e
settimane dense di angoscioso incubo, perché ogni settimana si verificava un
calo nella reazione striminzita, a prescindere dal fatto che spesso il pane
veniva a mancare per più giorni.
Non giungevano poi
neppure notizie dalle nostre case e ciò è perdurato purtroppo anche dopo la
venuta dei Russi fino al successivo settembre, epoca nella quale abbiamo
finalmente raggiunto l'Italia, né con i Tedeschi, né con i Russi, ci è stato
più possibile ricevere e dare notizie. Tutti eravamo angosciati, anche perché
fervevano le lotte in Italia, i Tedeschi ripiegavano.
Io personalmente ho
appreso solo in Settembre, al mio arrivo, la morte della mia povera Mamma,
avvenuta nel Marzo.
Verso il 15 Aprile
si sentirono rombi in lontananza, successivamente cominciarono visite di aerei
che spesso a bassa quota mitragliavano il campo. I tedeschi si ricordarono
allora di far dipingere sul tetto delle baracche poste ai quattro vertici del
campo i segnali regolamentari, ma, nel frattempo, diverse raffiche di
mitragliatrice avevano mietuto qualche vittima fra i prigionieri del campo
internazionale.
I Russi arrivarono
nel campo Spremberg il 23 Aprile 1945.
Mi astengo di
descrivere il periodo trascorso sotto i Russi perché esula dai limiti fissati
dall'Ispettorato del Genio.
Tuttavia, qualora
servissero elementi anche relativi a tale periodo di tempo, essi possono essere
desunti dai documenti allegati alla presente relazione.
Per quanto riguarda
la "saldatura" fra il 23 Aprile e l'epoca cui si riferiscono i documenti
suddetti, dirò brevemente che i Russi acconsentiranno a che venissero vuotati i
pingui depositi alimentari che erano nel Lager e che venisse saccheggiato, per
chi avesse voglia, il paese che distava circa 6 Km.
Tuttavia, tranne
che per il pane (stemmo circa 15 giorni senza pane), avemmo cibi cotti (i
soliti ranci, naturalmente molto maggiorati ed enormemente migliorati). La profusione del cibo, cui si aggiungevano
per quasi tutti i prodotti della razzia, fece si che si corresse serio pericolo
di infezioni. Acqua per alcuni giorni non ne venne; di bagni non se ne parlava
neppure ed il campo era letteralmente inondato di rifiuti alimentari in
putrefazione, nonché delle lordure di centinaia e centinaia di ex prigionieri
che, sazi di cibo fino all'inverosimile, non arrivando in tempo a soddisfare i
loro bisogni nel posto adatto depositavano, ovunque si trovassero, i loro rifiuti.
L'ingozzamento,
dopo un po' di giorni, terminò perché ormai le scorte tedesche erano vuotate,
mentre non si poteva più andare nel paese perché i Russi aggredivano e
derubavano chiunque. Il nostro cappellano militare che era andato per primo in
paese per la pietosa missione di ricevere Italiani eventualmente degenti nell'ospedale,
fu derubato dai Russi dell'orologio da polso.
Molti colleghi che
andarono nel paese furono a loro volta aggrediti e derubati.
Dopo circa 20
giorni dalla venuta dei Russi, fummo obbligati ad andare a consumare i nostri
pasti in una specie di mensa in locali distanti 2 Km. Circa dal campo. A parte
le marce sotto il sole cocente e sotto la pioggia per tre volte al giorno, il
provvedimento sarebbe stato gradito, perché finalmente avevamo una specie di
mensa, se nonché per accedere ai locali dovevamo aspettare che dei soldati
Serbi, che fruivano della stessa mensa, terminassero di mangiare. Ciò ci
costringeva talvolta a sosta di svariate mezze ore, durante le quali dovevamo
stare alle intemperie.
Dopo circa un mese
dalla liberazione, improvvisamente ci fecero partire a piedi per ignota
destinazione. Per la prima volta da che eravamo stati fatti prigionieri,
dovemmo subìre una marcia di circa 110 Km ed in tre giorni. A parte che eravamo
ancora tutti malandati in salute, ci fu il fatto che dovemmo trascinare al
seguito tutti i nostri bagagli. Era uno spettacolo indecoroso e pietoso vedere
questa enorme teoria (eravamo oltre 1000) di Ufficiali, civili, donne, bambini,
marciare trascinandosi penosamente carretti, carrettini, barelle improvvisate,
ecc... sotto il sole e sotto la
torrenziale pioggia che imperversò per un terzo circa della marcia. Scene
antipatiche, odiose talvolta, fra quanti trascinavano i loro bagagli...
continuava il fenomeno tanto frequente fra i prigionieri che fa sì che essi
possano dolorosamente essere paragonati ai famosi capponi di Renzo, di
manzoniana memoria.
Io che, dalla
venuta dei Russi, avevo chiesto ed ottenuto di collaborare con il comando
italiano del campo, come Ufficiale addetto, ho trascinato nelle condizioni
suddette, con il Colonnello Toscano di artiglieria comandante italiano del
campo e con altri Colonnelli ed altri Ten. Colonnelli il pesantissimo carro
bagaglio su cui erano, oltre i nostri effetti ed anche tutti i documenti del
comando; schede di tutti i prigionieri italiani, documenti vari, carteggio,
macchine da scrivere, ecc...
Non fu possibile
ottenere dai russi neppure un cavallo. Siccome per il forte carico rimanemmo
indietro, benché sul nostro carro sventolasse il tricolore fummo aggrediti più
volte dai Russi che incontravamo per strada e ci volle a volte tatto, a volte
energia per potersi liberare. Alle porte di Spremberg, poi, dei Russi ci
sequestrarono. Un Ufficiale Russo, malgrado avessimo dimostrata la nostra
qualità di Ufficiali Italiani, Colonnelli, Ten. Colonnelli, volle a ogni costo
che caricassimo delle pesanti motociclette su degli autocarri.
Infine, poco più
avanti, fummo a forza invitati con il nostro carretto per una fortissima salita
e guidati in una specie di posto controllo, ove a tutti i costi volevano
perquisirci.
Le nostre
condizioni di vita nel periodo successivo e il trattamento, ricevuto da parte
dei Russi, possono essere desunti dalla relazione, allegata in copia,
presentata dal comando Italiano del campo al comando russo della Piazza; nonché
dal rapporto, allegato in copia, presentato da un sottotenente al comando
italiano del campo.
Si tenga conto che
la relazione anzidetta che, all'atto della partenza per l'Italia, il comandante
Russo di Spremberg volle da noi come una specie di "ben servito", fu redatta,
per forza di cose, in modo molto blando.
Tuttavia,
attraverso i righi, si possono bene intuire le nostre vicende.
Tenente Colonnello Antonio Romeo
Intendenza XI Armata
Reparto Direzione Genio
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