LA RICOSTRUZIONE
‘Ndrangheta a Lonate, il declino della cosca
Le motivazioni della sentenza d’appello tracciano il tramonto dei cirotani

Il tramonto della ‘ndrangheta di origine cirotana era imminente, se non fosse intervenuta la Dda di Milano l’esercito di Vincenzo Rispoli sarebbe stato polverizzato comunque dal fuoco amico perché un leader autorevole non c’era. Si evince dalle conversazioni registrate durante le indagini e riportate nelle motivazioni della sentenza d’appello pronunciata lo scorso dicembre.
Condanne di primo grado confermate per tutti, l’unico a beneficiare di una riduzione è stato Mario Filippelli: difeso dagli avvocati Michele D’Agostino e Gianluca Fontana è sceso da diciotto anni a sedici anni e quattro mesi.
LE INTERCETTAZIONI
«A Legnano sono tutti cani sciolti ...ma insomma a chi dobbiamo rispondere qui a Lonate, a te o a quello (De Castro)? chiedeva, con vis retorica, Cristoforo De Novara a Olindo Lettieri. Ma poi c’era Salvatore De Castro, figlio del capo bastone Emanuele, che diceva la sua parlando con un amico: «Lo sai chi sta facendo tutto sto cazzo di bordello? Rapine, macchine co...tutto che... barbone di Mario (Filippelli)». E ancora lotte intestine tra Lettieri e i fratelli Cilidonio, cosiddetti Lupini, disprezzati al pari «del mezzo scemo e fuso di cervello», ossia il palermitano De Castro, diventato collaboratore di giustizia ad agosto del 2019.
IL PENTIMENTO E LA CONDANNA TENUE
L’ex braccio destro di Rispoli in primo grado era stato condannato a cinque anni, pena piuttosto tenue dovuta alla scelta di pentirsi. Eppure sperava in un ribasso in appello. Il giudice estensore della sentenza, Emanuela Corbetta, spiega però perché De Castro debba accontentarsi del risultato: «La pur apprezzabile collaborazione, conseguita alla carcerazione, non ha costituito un indispensabile e determinate apporto di conoscenze alle indagini, ma ha piuttosto solo rafforzato e contribuito a meglio determinare condotte già pacificamente emerse dalle indagini in corso». Attraverso l’avvocato Adriana Fiormonte il pregiudicato lamentava anche la misura di sicurezza: «Rispetto agli altri associati è ridotta di due terzi». Ciò premesso «si osserva che, anche tenuto conto del curriculum criminale pregresso, la sua collaborazione - seguita solo a una nuova carcerazione - se da un lato ha determinato la radicale rottura del legame con l'associazione di cui faceva parte, non ha fatto totalmente venire meno la pericolosità sociale, avuto riguardo alla sua spiccata inclinazione a delinquere».
ADDIO AL ROLEX
E così ha dovuto dire addio anche al suo Rolex, di cui ha chiesto la restituzione perché intriso di valore affettivo: a parere della quarta sezione penale della corte d’appello quello, come altri orologi che sfoggiava con orgoglio, «sono oggetti di investimento e dalla provenienza conciliabile con l'attività 'ndranghetista di De Castro». Il tessuto criminale calabrese a Lonate, Ferno, Samarate e a Legnano alla lunga si è smagliato, a differenza di Cirò Marina, dove Giuseppe Spagnolo teneva tutti in riga. Gli uomini di Rispoli lo avevano presagito, il carisma di Spagnolo - si capta nelle intercettazioni - era fondamentale anche per «educare tutti i ragazzi, mentre a Lonate non c'è uno che dirige bene...tanto che...prima o poi, Manuele, per questa storia qua, succede qualcosa». Gli arresti di tre anni fa forse hanno evitato altro sangue.
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