LA SENTENZA
Estorsione tentata, condanna certa
Tre anni e 4 mesi per il reato ai danni di un pizzaiolo egiziano
La ricostruzione dell’accusa ha retto, ieri, giovedì 4 aprile, il gup Piera Bossi ha pronunciato la sentenza: Giovanni Cilidonio è stato condannato a tre anni e quattro mesi e 3mila euro di multa per tentata estorsione a una pizzeria di egiziani.
Un reato che spartiva con Nicodemo Abbruzzese, settantenne spirato prima di Natale mentre era ai domiciliari, nel cui garage pochi giorni dopo gli inquirenti trovarono sette chili di materiale esplosivo e armi.
L’avvocato Antonino Trusso, difensore di entrambi, ricorrerà in Appello perché il verdetto di ieri l’ha lasciato molto amareggiato. Del resto, il legale aveva fornito tutta un’altra versione dei fatti: sì, nascevano da un banale incidente tra un parente di Cilidonio e un pizzaiolo egiziano, ma poi avrebbero preso una strada diversa da quella indicata dagli inquirenti.
A parere della Procura al calabrese alla guida dell’auto avevano revocato la patente e la famiglia, per evitargli guai, avrebbe avuto l’intenzione di imporre una constatazione amichevole in cui figurasse un altro automobilista.
Davanti al rifiuto di accettare la truffa, i cirotani avrebbero dato il via a un’escalation di intimidazioni. «Innanzitutto non è vero che la patente fosse stata revocata», precisa fin dal giorno dell’arresto l’avvocato Trusso.
«Quella sera i parenti dei miei assistiti andarono in pizzeria per far firmare la constatazione amichevole e, nonostante le menomazioni fisiche di cui sono affetti, vennero picchiati da almeno quattro egiziani, tanto da dover ricorrere alle cure dell’ospedale. Vista la situazione chiamarono i loro familiari. Arrivarono anche i carabinieri. Ma da quel giorno non risultano più contatti di nessun genere. Però dell’aggressione di cui furono vittime loro nessuno ha parlato», lamenta Trusso, che rimarca: «Tutto nacque da quell’aggressione».
L’avvocato non ha apprezzato neppure la diffusione del rinvenimento dell’arsenale nel garage del defunto Abbruzzese perché quanto meno intempestiva: il sequestro risalirebbe a gennaio, «non comprendo l’utilità di farlo emergere ora», commenta.
L’avvocato Francesca Cramis dal canto suo è risentita per l’accostamento della vicenda al suo assistito, Emanuele De Castro, a cui i carabinieri hanno fatto riferimento riepilogando i risultati investigativi degli ultimi mesi. L’uomo è sì conosciuto alle forze dell’ordine per i noti fatti legati alla ‘ndrangheta locale, ma a ottobre in carcere non è tornato per questioni di droga, bensì per inosservanza agli obblighi imposti dalla misura di prevenzione della libertà vigilata (aveva in altre parole il divieto di incontro con altri pregiudicati, però lo ha trasgredito).
«Con la detenzione di esplosivi e con i traffici di stupefacenti il mio assistito non ha nulla a che vedere», precisa il legale che si sta preparando per l’udienza di maggio davanti al gup Giuseppe Limongelli. Il calabrese ha chiesto il rito abbreviato.
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