IN CARCERE
Uccise la fidanzata a coltellate, si suicida
Magnago, condannato a quindici anni, Arturo Saraceno era detenuto a Cosenza

Uccise la fidanzata. E ieri si è tolto la vita.
Una parabola sommamente tragica quella di Arturo Saraceno, trentasettenne condannato a quindici anni per omicidio, e di Debora Fuso, venticinquenne ammazzata con ventinove coltellate il 16 maggio 2016. L’uomo da tempo era rinchiuso nel carcere di Cosenza, dopo due anni trascorsi a Busto Arsizio, sempre in infermeria, proprio perché le sue condizioni psicofisiche destavano preoccupazione.
Saraceno aveva già compiuto gesti autolesionistici, era ossessionato dall’idea che qualcuno volesse vendicarsi del delitto di Debora tendendogli un agguato. Si sentiva spiato, controllato. Portava nel cuore il rimorso insanabile di ogni singolo fendente con cui aggredì la ragazza. Ma la perizia psichiatrica disposta in primo grado dal gup Nicoletta Guerrero aveva escluso patologie incidenti. Il medico che lo analizzò non riscontrò nessun disturbo psichiatrico di rilievo, soltanto uno stato passionale ed emotivo che quel giorno gli fece perdere la testa.
Un’opinione opposta l’avevano i suoi avvocati, Cesare Cicorella e Concetto Galati: in Corte d’Assise d’Appello ribadirono la convinzione che la capacità di intendere e di volere di Saraceno fosse quantomeno parzialmente scemata al momento del raptus, che fu l’apogeo di un periodo di fortissime tensioni nella coppia. I due avevano addirittura annullato le nozze fissate per l’agosto successivo, c’erano dei retroscena non lievi, c’era stata un’intera nottata passata a scambiarsi messaggi, in cui tra varie recriminazioni, emergeva comunque la volontà di ricomporre il rapporto. E infatti Arturo e Debora si erano dati appuntamento l’indomani, a pranzo, nell’appartamento di via Ferrari a Magnago in cui si sarebbero trasferiti una volta sposati.
Il delitto risale alle 14 di quel giorno. Nella testa di Arturo qualcosa andò a massa.
La famiglia della ragazza, rappresentata dall’avvocato Antonio D’Amelio, non aveva mai digerito la condanna a quindici anni, erano andati anche in televisione, ospiti di Porta a Porta, per rivendicare giustizia. Difficile immaginare cosa provino in questo momento.
Nulla si sa sulle circostanze della morte del trentasettenne, se non che la polizia penitenziaria l’ha trovato quando era troppo tardi per salvarlo. Ora valuterà la Procura cosentina se disporre l’autopsia e avviare accertamenti sull’idoneità delle condizioni di detenzione, sulla corretta diagnosi del suo stato psichico, sul livello di sorveglianza a cui era sottoposto.
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