IL GIALLO
Voli bloccati: Ufo, non drone
La parola all’esperto: «Gli apparecchi autorizzati sono dotati di gps che impedisce del tutto il sorvolo delle no fly zone»

«I droni non autorizzati non possono nemmeno entrare nel raggio di 5 chilometri di distanza dalle piste di Malpensa». Il mistero del drone che lunedì primo aprile in mattinata, ha bloccato l’aeroporto spiegato con le parole di un pilota esperto nel pilotaggio degli oggetti volanti radiocomandati, finiti nell’occhio del ciclone dopo il blocco causato all’operatività dello scalo Sea.
Gli appassionati dei sempre più diffusi apparecchi tecnologici manifestano qualche perplessità sul fatto che l’avvistamento di lunedì a Malpensa, che ha messo in scacco lo scalo Sea per circa 20 minuti, possa essere stato davvero un drone che stava sorvolando la zona in prossimità delle piste, piuttosto che uno dei tanti oggetti non identificati.
«La normativa attuale per i droni è veramente rigida - spiega Gianluca Passarella, pilota esperto di droni, che fa parte del gruppo Gullp di Lonate Pozzolo e che frequenta la zona droni del museo di Volandia - il regolamento Enac limita la ATZ (zona di traffico aeroportuale) che nel caso di Malpensa si estende per circa cinque chilometri di raggio. Sono zone che possono essere visualizzate nel sito di Enav, dove c’è una grande mappa in Pdf che segnala tutte le “no-fly zone” presenti sul territorio che ogni pilota deve tenere in considerazione. Per sorvolare la ATZ occorre un’autorizzazione direttamente dalla torre di controllo, che è molto complicata da ottenere».
Ma anche la fascia successiva attorno a Malpensa, quella ricompresa tra i 5 e i 15 chilometri di raggio dallo scalo (chiamata CTR), non è libera al sorvolo, in quanto riservata ai soli droni riconosciuti per uso professionale, che sono registrati da Enac e dotati di targhetta identificativa e Qrcode e che devono essere condotti da un pilota riconosciuto negli elenchi Enac.
Il che significa che «il drone giocattolo di un bambino o quello dell’aeromodellista non dovrebbero volare neanche nell’area fino a 15 km, ma soltanto in un campo volo o in una zona lontana dai centri abitati al di fuori della CTR».
Una circostanza che chiaramente è difficile da verificare, anche perché «gli apparecchi ad uso ludico, come ad esempio un drone da mille euro che fa cose pazzesche, non richiedono un attestato per essere pilotati».
Ma c’è un altro aspetto di sicurezza molto rilevante, ed è relativo alle limitazioni a livello di hardware.
«I droni commerciali, quelli che si comprano nei grandi magazzini di elettronica, sono nella gran parte dei casi dotati di un sistema Gps, che impedisce del tutto il sorvolo nelle “no-fly zone” degli aeroporti, o quantomeno avvisa della vicinanza alla pista - sottolinea Gianluca Passarella - io stesso, a Volandia, non riesco neanche a decollare con i droni commerciali, perché appena rilevano di essere in prossimità della pista nemmeno si armano i motori».
Nel parco e museo del Volo a due passi da Malpensa, infatti, le attività con i droni vengono svolte solamente indoor, all’interno di un’area ben delimitata e protetta da una rete, per evitare che gli apparecchi possano alzarsi in volo. Insomma, lo sprovveduto non dovrebbe nemmeno per sbaglio riuscire ad avvicinarsi alla pista di un aeroporto, più plausibile che chi dovesse mai provare a farlo ne sia consapevole, e utilizzi un drone artigianale o autocostruito.
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