L’INTERVISTA
La mente di Diabolik: «Donne, siate libere»

Se la ricorda ancora l’espressione infastidita del magistrato: «Ma cosa c’entrano i fumetti con il giornalismo?». Anno 1968, Roma, esame di Stato per diventare giornalista professionista. Era evidente il tentativo di destabilizzare la candidata, fatto sta che la ventiquattrenne Patricia Martinelli quel giorno rispose al commissario d’esame con una pugnalata verbale. «Ero lì tutta timida e impaurita ma a sentire la domanda mi venne, come si dice a Milano, una botta di fottone. Così risposi al magistrato che il fumetto è un mezzo di espressione come un altro e, come tale, si può usare in maniera intelligente oppure no per comunicare alle persone qualsiasi cosa». Promossa.
Difficile immaginare che la ragazza destinata a diventare la più famosa e prolifica e creativa sceneggiatrice di Diabolik sia mai stata «tutta timida e impaurita», certo è che quella domanda insidiosa si trasformò in un elettrizzante viatico: l’anno dopo Patricia Martinelli era già intenta a scrivere di furti e omicidi, chiamata a collaborare da Angela Giussani, sorella di Luciana, entrambe amiche dei suoi genitori. Le due donne che crearono (correva l’anno 1962) un uomo chiamato Diabolik, il Re del Terrore.
«Quando arrivavano a casa nostra ero una bambina e, come accadeva in presenza di ospiti, venivo messa a letto per non disturbare i grandi. Poi sono cresciuta, sono andata a studiare a Mosca e Angela ne era affascinata, dato che lei non aveva mai potuto viaggiare», racconta l’autrice a Prealpina. Sullo sfondo, i ricordi di giorni felici trascorsi nella villa di Porto Ceresio, dove la conoscono tutti sin da ragazzina, su un lago («il mio lago») dove ama tornare anche ora che si definisce «vecchietta centenaria».
Non le sembra di esagerare?
«Guardi, di fronte a una vecchietta centenaria come me certi volgaroni si ammutoliscono. Se per strada ne incontro uno dico subito: abbassi la voce perché con me non riesce a litigare. Non se ne parla neanche che io perda tempo a litigare con lei».
Però chissà quanti omicidi virtuali, lei che se ne intende...
«Si figuri, sarei spietata. È un mondo sempre più intollerante e volgare, contro il quale però non mi ci metto neanche: io non litigo mai».
A proposito, secondo un recente studio americano la resilienza è una virtù femminile: concorda?
«Non ho ancora capito se ci sono nata o lo sono diventata, ma mi rendo conto di essere molto forte. Perché faccio tutto quello che decido, non perdo la testa, quando ci sono state le malattie dei miei familiari me ne sono fatta carico con tutto il garbo e l’energia possibile. E quando accadono gli inconvenienti, mi viene da ridere. Io la vita la prendo ridendo, sono fatta così. Perdo un aereo? Nessun problema, dico subito: risolviamo».
E succede davvero?
«Ho viaggiato così tanto che a fronte di una miriade di aerei persi ho avuto l’occasione di fare una miriade di incontri stupendi. All’inizio i miei compagni mi dicevano: ma sei matta? Poi si ritrovavano in situazioni inaspettate in cui si divertivano anche loro. Se necessario faccio l’autostop: alla fine convinco quelli che mi danno il passaggio a sentirsi piuttosto privilegiati, perché ho scelto loro...».
E si fida?
«Di base non penso mai che la gente sia cattiva, forse sono stata fortunata ma è questa la mia esperienza».
L’ultimo viaggio poche settimane fa su una nave rompighiaccio risalendo la Groenlandia...
«Sono ancora in estasi. Non le dico il mio primo orso bianco... Io ero sul ponte della nave insieme ad altri cento passeggeri e ho immaginato che cosa stesse pensando di noi: si è alzato in piedi tre/quattro volte, evidentemente era scocciato».
Lei ha sempre legato le storie di Diabolik all’attualità: eutanasia, aborto, mafia, violenza sessuale, malattie mentali. Di questi tempi, quale tema sceglierebbe?
«Ho ricevuto anche un premio per avere saputo inserire dei temi sociali all’interno dei fumetti, fra Diabolik, Eva Kant, Ginko, il malloppo da rubare, inseguimenti e tutto il resto. Di questi tempi quale tema sceglierei? Non me lo chieda, secondo me stiamo vivendo un periodo pessimo».
Quando faceva la giornalista negli anni Sessanta le capitava di ricevere tante lettere di donne maltrattate: adesso la situazione non sembra migliore, non crede?
«Secondo me non lo è. Ci sono ancora donne tremendamente succubi. Ora come allora penso che per avere la forza di allontanarsi da una relazione tossica, sbattere la porta, è necessario che la donna sia indipendente dal punto di vista economico. Ci vuole un lavoro, qualunque esso sia. E poi ci vuole la conoscenza, la consapevolezza. Purtroppo, ora come allora, è l’ignoranza il male peggiore».
Che tipi sono Diabolik ed Eva?
«Mi viene da dire che sono delle persone perbene. Mi spiego: sono dei criminali ma con una loro etica, ad esempio non farebbero mai traffici di droga. Per Diabolik rubare è una sfida. Poi, come uomo, mai nella vita: privo di senso dell’umorismo, sempre serio. Per fortuna c’è Eva, lei qualche battuta spiritosa la fa».
Lei innamoratissima...
«Lo ama alla follia».
Consiglierebbe alle ragazze di innamorarsi alla follia?
«Io ho avuto un marito e tre convivenze lunghe, belle: innamorarsi è importante, è vitale. Ma alle ragazze consiglio di non consegnarsi mani e piedi al proprio partner».
Qual è la lezione di vita n° 1 per una ragazza di questi tempi?
«Bisogna essere autonoma e non dipendere da nessuno, né economicamente né psicologicamente».
Ora dia un consiglio ai ragazzi.
«Avere un rispetto totale per le ragazze, sempre e comunque. E occuparsi di politica, ma questo lo consiglio a maschi e femmine: noi nel ‘68 ci occupavamo molto di politica, adesso invece i giovani non vanno neanche a votare, ma questo significa che altri decideranno per loro».
Se Diabolik incontrasse la premier Meloni che cosa le direbbe?
«Che ha la memoria corta su tante cose. E poi che tratta male le donne. Dove sono i famosi asili nido? Senza contare che nei consultori possono entrare gli anti-abortisti per dire a donne già traumatizzate: ti faccio ascoltare il battito del cuore...».
Qual è il suo sogno più grande?
«Fare le sole cose che so fare e con le quali mi sono guadagnata da vivere tutta la vita. Ora sto finendo di scrivere una robetta a episodi, con un omicidio per episodio. Poi intendo continuare a scrivere e leggere/valutare per i premi letterari».
Pare che lei sia severissima con chi maltratta la lingua italiana.
«Io voglio i congiuntivi. Non sopporto il luogo comune. Basta ascoltare quelle trasmissioni in cui parlano di delitti in continuazione: sempre le stesse parole, le stesse banalità».
Insisto: il suo sogno più grande.
«Una battuta? Intendo vivere sola con la mia micia Vasilisa. Farei un’eccezione solo per un lord strapieno di quattrini con un castello nel Devonshire, perché quanto a amore ho già dato. Ma visto che è alquanto improbabile che un ricchissimo lord incroci la mia strada resto a casa mia a leggere e scrivere con la Vasilisa».
Il castello con fantasma, vero?
«Ovvio, ci andrei d’accordissimo».
CHI È: DALLA RUSSIA ALL’ASTORINA
Patricia Martinelli è nata il 6 febbraio 1944 a Cervia da genitori milanesi. Laureata in Filologia e Letteratura all’Università di Mosca, per un paio d’anni è interprete alla Snam. Nel 1968 fa il suo ingresso nell’editoria collaborando al settimanale “Ciao, Amici”, l’anno dopo inizia a lavorare come redattrice all’Astorina dove firma le storie di Diabolik: la prima a cui collabora è “Le lacrime della sirena”, la prima che sceneggia da sola è “Ciak si muore”. In parallelo fa la giornalista, lavorando anche per Mondadori e la rivista Due più. Nel 1975 passa alla Casa Editrice Universo: è capo redattore centrale di Grand Hotel, L’Intrepido, Il Monello e di tutto il settore fumetti. Nel 1992 viene richiamata all’Astorina da Luciana Giussani: è direttore responsabile di Diabolik fino al 2000. Firma la maggior parte delle sceneggiature del Re del Terrore. Dal 2008 è giurata in vari premi letterari.
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