LA SENTENZA
Maxi sconto al pentito
Omicidio D'Aleo: in appello Nicastro passa dall'ergastolo a 13 anni e 4 mesi

Collaborare con la giustizia apporta innegabili vantaggi, come per esempio scansare l’ergastolo e scendere a una pena di tredici anni e quattro mesi.
Così hanno deciso mercoledì 26 settembre per Fabio Nicastro - neopentito, ex affiliato a Cosa Nostra e accusato di concorso nell’omicidio di Salvatore D’Aleo - i giudici della Corte d’appello di Milano: l’attenuante della collaborazione è risultata quindi prevalente sulle aggravanti ma i giudici non hanno comunque riconosciuto all’imputato le generiche. Confermata integralmente invece la condanna a Rosario Vizzini, ex reggente della cosca Rinzivillo nel Varesotto che in primo grado si era beccato undici anni e tre mesi.
C’era la madre di D’Aleo ad ascoltare il verdetto, accompagnata dal suo avvocato Domenico Margariti, e quel pesante sconto di pena concesso a Nicastro a Crocifissa Moscato - che si è costituita parte civile - ha fatto molto male.
«La legge è stata applicata correttamente, non posso quindi che rispettare la sentenza - commenta l’avvocato Margariti -. Registro però la delusione dei parenti», aggiunge. Se la conversione di Nicastro - difeso dall’avvocato Massimo Leonetti - non solo era precedente all’inizio del processo, ma anzi permise di poter istruire il processo stesso, svelando la verità sul delitto del picciotto ribelle del clan. Fu lui - assistito dall’avvocato Paola Bonelli - a indicare agli inquirenti il luogo dell’esecuzione - materialmente commessa da Emanuele Italiano, difeso dall’avvocato Alberto Talamone e condannato ad aprile all’ergastolo -, quello dell’occultamento del cadavere, il movente e gli autori, ammettendo pure di essere il mandante.
Nicastro inizialmente tentò di sconfessare Vizzini, raccontando una versione completamente diversa che tra l’altro scagionava anche Italiano. Dopo l’ergastolo inflitto in primo grado (era il 26 settembre dell’anno scorso), la decisione di compiere il salto della quaglia, aderendo in toto alle dichiarazioni dell’ex reggente di Cosa Nostra. Così il mosaico del delitto fu completo: l’ultimo giorno di vita di D’Aleo fu il 2 ottobre 2008.
Sulla sua testa pendeva ormai da mesi l’anatema di Vizzini, stufo delle iniziative estorsive che il manovale del clan si prendeva senza chiedere il nulla osta ai boss. Andava eliminatoe il compito venne affidato a Nicastro e a Italiano che quella sera prelevarono la vittima da un bar per poi dirigersi verso Vizzola Ticino.
Lì, stando almeno a quanto ricostruito durante il processo in Corte d’Assise, Italiano sparò al giovane e poi lo sgozzò. Con Salvatore agonizzante, passò l’arma a Nicastro e gli intimò di finire il lavoro, e lui premette il grilletto ancora.
«Forse gli feci un favore perché rantolava», dichiarò Nicastro durante la deposizione innanzi alla Corte di Busto Arsizio presieduta da Adet Toni Novik. Intanto anche Italiano, l’unico ad aver sempre negato ogni responsabilità, sua e altrui, si prepara ad affrontare l’appello.
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