EXTRA OMNES
Meneghin confessò al Papa: «Volevo fare il fantino»
Il ricordo dell’incontro con Bergoglio, «simpatico e alla mano»

Dino Meneghin racconta il “suo” Papa Francesco nel rievocare quella risata condivisa con il Santo Padre nel giugno 2014 in piazza San Pietro. L’ex pluricampione d’Italia e d’Europa con l’Ignis Varese aveva partecipato all’incontro fra il Pontefice e le società del Centro Sportivo Italiano per il settantesimo compleanno della fondazione dell’organismo per lo sport di base ad ispirazione cattolica. Davanti ad oltre 20mila ragazzi a Roma in rappresentanza di svariate attività ed altri grandi dello sport, Meneghin e papa Bergoglio si scambiarono battute divertenti a tema cestistico.
«Ricordo bene quella giornata nella quale l’iniziativa promossa dal presidente del CSI Massimo Achini aveva letteralmente invaso piazza San Pietro. Nel cerimoniale era previsto un tiro a canestro da parte di un bambino del Minibasket, per simboleggiare che il Papa andava a segno attraverso lo sport: io dovevo sollevarlo per aiutarlo a realizzare. Così accadde: quando ci avvicinammo al Pontefice mi disse: “Adesso ho capito perché sei stato un campione di basket”. “In realtà volevo fare il fantino, ma i cavalli scappavano vista la mia altezza, e allora mi sono dedicato alla pallacanestro”, risposi. Ne uscì una risata spontanea».
Anche Papa Francesco era amante del basket (suo padre fu giocatore del San Lorenzo di Almagro, il club per il quale tifava nel calcio, ndr), vi siete trovati su un terreno comune.
«Mi avevano detto che aveva giocato anche lui a pallacanestro, non so a che livello. Quel che mi ha colpito è stata la sua simpatia: l’ho trovato di una umanità pazzesca, capace di vivere con leggerezza il suo ruolo».
Era il “Papa della gente normale” come si è detto nei giorni successivi alla sua scomparsa?
«Io ho una certa età, e di Pontefici ne ho visti diversi: forse solo Giovanni XXIII possedeva lo stesso livello di umanità di Francesco, mentre gli altri davano la sensazione di guardare dall’alto di un trono ed apparivano un po’ più lontani dalla sensibilità della gente. Papa Bergoglio invece ha svolto un lavoro straordinario, ma i suoi atteggiamenti riflettevano la volontà di apparire una persona normale, interpretando la quotidianità con un modo di essere che lo faceva sembrare accessibile a ciascuno di noi».
A proposito di sport giovanile e di oratori, lei era un frequentatore assiduo nella sua infanzia e giovinezza trascorsa a Varese?
«Assolutamente sì: appena arrivati a Varese con la mia famiglia, io e mio fratello Renzo andavamo a giocare all’oratorio San Vittore in via San Francesco, vicino a piazza Repubblica (era lo storico alveo della Robur et Fides, ndr). Eravamo sempre lì: prima la messa delle 10.30 alla domenica, e poi sfogo alla passione per lo sport. È stato un punto di riferimento importante per formarci».
Oggi però la sensazione è che i giovani preferiscano stare a casa a giocare con la playstation, rispetto ad andare all’oratorio per dare sfogo alle passioni sportive.
«Il CSI svolge da sempre un lavoro straordinario nell’avvicinare i ragazzi allo sport nel contesto protetto rappresentato dagli oratori, anche se purtroppo la sensazione è che rispetto ai miei tempi la frequentazione di quelle strutture sia molto meno diffusa».
Dino Meneghin indossi i panni del protagonista del conclave: secondo lei chi potrà essere la figura giusta per raccogliere l’eredità di Papa Francesco?
«Da tanto tempo manca un Papa italiano, però se si dovesse optare per una soluzione pastorale extra Italia vedrei bene il cardinale filippino (Luis Antonio Taglè, ndr), considerando quanto è importante e diffusa la fede cattolica in quelle aree del mondo. Ed anche quante comunità filippine siano disseminate in tutto il pianeta, anche da noi a partire da Milano. Parlano bene anche del vescovo di Bologna (Matteo Maria Zuppi, ndr). Se dovesse essere eletto un italiano sarei più contento».
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