LA RICETTA
Menù di Pasqua, «in tavola tradizione e sostenibilità»
I consigli di due chef della provincia di Varese

L’avaro barone Peletti che fa la cresta anche sull’olio da tavola in “47 morto che parla” o lo scrivano Felice Sciosciammocca che si riempie le tasche di spaghetti per poi divorarli prendendoli con le mani e seminandoli in giro in “Miseria e nobiltà”? Tra braccino corto e mani bucate ci vuole una via di mezzo anche in cucina, soprattutto quando arrivano feste come quelle pasquali e ritrovarsi con le gambe sotto il tavolo moltiplica i rischi di sprechi alimentari. «Il cibo sprecato è rubato alla mensa dei poveri», ricorda Papa Francesco: meglio donarlo o impiegarlo nella cucina degli avanzi. Si evita d’incrementare così il triste record di 65 chilogrammi di generi alimentati che ogni italiano getta in un anno nella spazzatura, 7 in più della media europea. Cosa che accade sempre meno nei ristoranti, dove alla cura nella scelta delle materie prime si associano piatti “misurati”, magari con ingredienti a chilometro zero, mentre fa fatica a imporsi la pratica del “doggy bag”, il cibo che - avanzato nel piatto e quindi pagato - si chiede di portare a casa. Ritrosia da italiani ancora succubi dell’immagine di povertà da dopoguerra un po’ come, per la stessa ragione immortalata nel neorealistico “Ladri di biciclette”, si vergognano di andare al lavoro su due ruote.
Fatto educativo che sta a cuore allo chef Ilario Vinciguerra, volto noto in tv, impegnato nel suo ristorante ospitato in una villa liberty a Gallarate: «I bimbi vanno educati anche a tavola nello stare composti e anche mentre gustano piatti semplici in un ambiente curato, nel quale possano sentirsi protetti». Le famiglie con figli che si siedono alla sua tavola sono sempre di più: «È per questo che l’azione educativa si deve vedere anche in ciò che si mangia». Qui si rispetta la tradizione all’insegna dell’acronimo SEA, che sta per Salute Etica Ambiente. In che modo? «È finito il tempo in cui i secondi dovevano offrire l’80 per cento di carne o pesce e il 20 di contorno. Oggi è il contrario in risposta a esigenze dietiste e alla cucina sostenibile.
E stop anche alla ristorazione standard alla carta: stamattina ho trovato al mercato delle triglie favolose che ieri non c’erano e stasera saranno in menu insieme a prodotti rigorosamente di stagione».
A Pasqua non mancheranno antipasti a base di melanzane e uova, paccheri al profumo di mare, agnello con patate, salmone affumicato a freddo con segatura di faggio (che non brucia) e marinato in casa, peperoni di Carmagnola, colomba artigianale ai frutti rossi, bollicine italiane Franciacorta e Pinot Nero.
PRODOTTI ITALIANI E PIATTI DELLA TRADIZIONE
Ci spostiamo da Tavolo Unico, centro di Busto Arsizio, dove Massimiliano Babila Cagelli e Serena Colombo (lui chef, lei storica dell’arte, connubio perfetto per allestire piccole sale che sono anche gallerie di dipinti) non hanno dubbi: «Anche a Pasqua i prodotti devono essere il più possibile italiani e il menù tradizionale, cioè non cedere all’estremo ricercato, offerto in ambienti riservati, dove le persone possono stare tranquille senza la solita, fastidiosa musica di sottofondo». Dunque il menù: storione su letto di insalata liquida, gamberone rosso di Mazara marinato nel Campari con granita al frutto della passione e stracciatella e burrata, sfera di cristallo con cioccolato caldo e albicocca fresca in crema chantilly, tutto innaffiato con un bianco toscano e champagne di produttori italiani. Un connubio fra innovazione e tradizione.
«Certo, perché gli chef guardano al futuro, ma con un occhio al passato», conferma Claudio Borroni, delegato per Varese dell’Accademia della Cucina Italiana, «e in questo senso un bel piatto pasquale è l’abbacchio con i carciofi, piatto unico cucinato come si vuole ma rispettando il fatto che, tutto sommato, la cucina delle feste è rimasta uguale nel tempo».
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