PERSONAGGI
Messner sul Rosa nel ricordo di Zanzi
Domani Macugnaga premia il grande alpinista: con l’amico varesino nel ‘93 viaggiò per la prima volta in questi splendidi paesaggi. Il ricordo del figlio di Zanzi, Alessandro

Domenica 16 luglio a Macugnaga, come evento finale della Fiera di San Bernardo, il famoso alpinista Reinhold Messner riceve l’ambito premio dell’Insegna di San Bernardo, anche per l’amicizia che lo legò al filosofo e storico delle Alpi, il varesino Luigi Zanzi: un riconoscimento riservato a chi si è distinto per la sua attività in favore della montagna e conferito in passato a figure come Riccardo Cassin, Kurt Diemberger, Annibale Salsa. Ecco il programma della giornata: Domenica 16 luglio a Macugnaga, alle 11 in piazza del municipio esibizioni di pronto intervento; alle 16 alla Tanzloube benvenuto a Reinhold Messner; alle 16.30 nella Chiesa Vecchia al “dorf” conferimento dell’Insegna di San Bernardo, alle 17.30 alla Kongresshaus di Staffa Messner introduce la proiezione di “Still alive - dramma sul monte Kenya”.
Come racconta Barbara Zanzi, figlia del professore che si è occupata della comunicazione dell’evento, «L’antica Fiera è stata riportata in vita trent’anni orsono per iniziativa dell’Alte Lindebaum Gemeinde (Comunità del Vecchio Tiglio) di Macugnaga sull’entusiastico impulso di Luigi Zanzi, con l’intento di far rinascere a Macugnaga le antiche tradizioni delle genti Walser (popolazione di origine germanica proveniente dal Vallese) e della loro cultura, che costituisce la radice fondatrice della più antica civilizzazione di queste terre montane. Nel luglio del 1993, proprio nei giorni della Fiera, dopo averla visitata insieme incontrandosi con le genti Walser a Macugnaga, Zanzi e Messner partono per il loro viaggio attorno al Monte Rosa alla riscoperta delle tradizioni e degli usi delle popolazioni d’alta quota». Domani, dopo aver ricevuto l’Insegna di San Bernardo, Messner introdurrà la proiezione del suo film “Still Alive - dramma sul monte Kenya”, con veri alpinisti come attori. Luigi Zanzi (Varese, 1938-2015), filosofo, storico, alpinista, conosce Messner dapprima attraverso la lettura dei libri sulle gesta e il pensiero del grande alpinista, successivamente, incuriosito dall’approccio “filosofico” di Messner alla montagna, organizza con lui più seminari di ricerca all’Università di Pavia. Attraverso il loro dialogo d’esperienza filosofica e di condivisione di passioni nasce un’amicizia coltivata nel tempo: nel 1993 compiono insieme (anche con la guida alpina Claudio Schranz e il figlio Alessandro Zanzi) un viaggio attorno al Monte Rosa sulle orme delle antiche migrazioni delle popolazioni Walser.
Il racconto dell’impresa del 1993 è affidato sulle pagine di Lombardia Oggi proprio al figlio di Zanzi, Alessandro.
Un autentico mostro sacro: questo per me era ed è tuttora Reinhold Messner! Nel 1993 avevo 28 anni ed ero un grande appassionato di alpinismo, arrampicata ed esplorazioni nella natura praticamente dalla nascita: non avevo neanche 6 anni quando mio padre mi portò, legato alla sua corda, a scalare la cima del Poncione di Ganna, dalla via diretta, quella che sale lungo il filo di cresta, tra pinnacoli e dirupi rocciosi... Perciò fu per me una grandissima emozione poter stringere la mano a Messner e trascorrere addirittura con lui alcuni giorni, in cammino attorno al Monte Rosa insieme con mio padre e con la guida alpina di Macugnaga Claudio Schranz. Messner era un mio mito: un po’ come se un giovane chitarrista rock si trovasse d’improvviso a stringere la mano a Mick Jagger ed anche a strimpellare qualche nota sul palco con lui! Nonostante siano passati già molti anni, serbo ancora vivissimi ricordi di quella straordinaria esperienza, che mi consentì di conoscere Reinhold nel profondo e di apprezzarne anche le spiccate doti di “filosofo”, attraverso le lunghe, appassionate ed entusiastiche discussioni tra lui e mio padre, alle quali ebbi la fortuna di assistere, mentre percorrevamo il nostro “tour” attorno al Rosa. Non posso neppure scordare l’apprensione che mi accompagnò sino a che, superato l’iniziale imbarazzo, non entrai un po’ più in confidenza con Messner, per la responsabilità del compito che mio padre mi aveva assegnato: documentare con foto e video i momenti salienti del “tour” di Messner, che per la prima volta si trovava sul Monte Rosa. Al termine di ogni tappa, ridiscesi a valle dai valichi d’alta quota (madidi di sudore o inzuppati fradici, se sorpresi da qualche temporale), venivamo accolti dai rappresentanti delle comunità walser via via toccate dal nostro giro (Bosco Gurin, Ponte di Formazza, Macugnaga, Alagna Valsesia, Gressoney, Zermatt) ed era ogni volta l’occasione per un confronto, aperto e diretto, talvolta anche acceso, sulle politiche di gestione della montagna. Talvolta, nel corso di tali “tavole rotonde”, incentrate sul futuro dell’ambiente alpino, emergevano anche alcuni punti di scontro e di aperta divergenza tra l’esperienza portata da Reinhold Messner (il quale poco tempo prima aveva condotto un’analoga iniziativa, percorrendo a piedi i confini del Sud Tirolo), che testimoniava la realtà della Regione autonoma del Trentino Alto Adige, fatta di aiuti e di agevolazioni importanti a favore delle comunità montane, e quella, ben diversa, vissuta dagli abitanti delle alte vallate della Regione Piemonte, che non avevano tali aiuti. Proprio durante una delle tappe più belle del nostro giro (quella che da Riva Valdobbia ci condusse a Gressoney, risalendo la magnifica Val Vogna e valicando il Colle Valdobbia), ci imbattemmo in un caso davvero emblematico a questo proposito. Giunti all’Alpe Larecchio, a quota 1.895 metri, prima di avviarci lungo l’ultima erta che ci avrebbe condotti in cima al Colle Valdobbia, incontrammo Osvaldo, un giovane che, stufo della monotona vita da operaio in un’industria tessile della bassa valle, aveva fatto ritorno alle “sue” montagne riprendendo l’attività di pastore che già era dei suoi avi. Osvaldo, che dal padre aveva imparato anche il mestiere di falegname e di carpentiere, aveva ristrutturato da solo, con le proprie mani, le baite dell’alpe e lì viveva con una mandria di splendide vacche di razza “bruno alpina”. Mentre ci rifocillavamo, godendoci un po’ di frescura all’ombra del maestoso larice secolare che dà il nome all’alpeggio, Osvaldo ci raccontava fiero il suo nuovo progetto di vita. E ci lasciò letteralmente interdetti nel rivelarci che, non solo non aveva ricevuto alcun contributo significativo (né economico, né d’altra natura) dalle competenti autorità amministrative, ma che anzi era addirittura tenuto a pagare la tassa di concessione governativa per i pochi watt di energia elettrica con cui illuminava la baita grazie ad un piccolo mulino ad acqua che aveva costruito con le sue mani e le cui pale erano azionate dal ruscello che alimenta il magnifico lago, di acque verdissime, nei pressi dell’alpeggio!
Soltanto dopo poche ore di cammino, una volta valicato il Colle Valdobbia (lungo il quale corre la linea di confine tra Piemonte e Valle D’Aosta) e ridiscesi a Gressoney, capimmo quanto fosse assurdo ed anche inaccettabile (finanche incostituzionale) il trattamento discriminatorio riservato ad Osvaldo rispetto agli alpigiani valdostani. Questi, sull’altro crinale della sua stessa montagna, per il solo fatto di risiedere in una regione a statuto speciale, godevano di tutta una serie di importanti aiuti pubblici che lui neppure poteva sognarsi... Tale episodio credo che più di ogni altro esprima lo scopo del “tour” ideato da Luigi Zanzi: promuovere il dibattito, mai così attuale come oggi, sul futuro delle Alpi, affrontando la sfida (ardua come una scalata su un’affilata cresta di roccia!) di far convivere le istanze di sviluppo economico delle popolazioni che vivono in montagna e della montagna, con le esigenze irrinunciabili di tutela dell’ambiente alpino. Il tutto in una prospettiva di ampio respiro, a livello europeo, unica condizione per superare situazioni di discriminazione tra cittadini come quelle ingiustamente sperimentate dai tanti alpigiani che, come Osvaldo, ogni giorno si confrontano con le severe condizioni dell’ambiente montano.
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