LA STORIA
Moranzoni, maestro dimenticato
Sepolto a Giubiano, portò negli Usa la musica di Puccini

Campo K, tomba numero 114, cimitero monumentale di Giubiano. È l’ultimo indirizzo del maestro Roberto Moranzoni, celebre direttore d’orchestra che il 14 dicembre 1918 tenne a battesimo al Metropolitan di New York il Trittico di Giacomo Puccini e si fermò in America fino al 1939, raccogliendo trionfi a Boston, New York e Chicago.
La tomba in marmo grigio reca soltanto il cognome, Moranzoni, e versa in grave abbandono, al piede era inserita probabilmente una targa commemorativa del maestro, sepolto assieme ai genitori Giovanni e Amalia Martini, forse trafugata.
Cent’anni dopo la prima del Trittico, del grande direttore nato per caso a Bari il 5 ottobre 1880 da genitori di origine veneziana - il padre era maestro della banda militare del locale corpo d’armata - non rimane traccia, ed è a tutt’oggi impossibile trovare sue fotografie o autografi in e-bay o dagli antiquari specializzati, nemmeno estratti di giornali con recensioni o commenti critici.
IL MAESTRO E VARESE
Roberto Moranzoni ebbe un legame intenso con Varese, se pure in fasi diverse della sua vita, terminata il 10 dicembre 1959 per una crisi cardiaca che lo colse a Desio, dopo il ritiro dalle scene, avvenuto nel dopoguerra, e la lunga parentesi come insegnante di canto: tra gli allievi del Maestro figurava anche un giovane Pippo Di Stefano.
Il 15 luglio 1907 sposò nella nostra città il soprano Maria Camporelli, conosciuto al Teatro dell’Opera di Bucarest, anche se il matrimonio non durò a lungo, perché il maestro intrecciò presto una relazione con Juanita Caracciolo, soprano lirico tra i più completi del tempo, allora moglie del direttore Giacomo Armani, di vent’anni più anziano.
Roberto e Juanita, ottenuta la separazione legale dai rispettivi coniugi, convissero prima a Milano, e poi, dal 1923, in una villa di Varese.
GLI ESORDI E L’ARRIVO AL MET
Nell’ultimo numero della prestigiosa rivista “Musica”, pubblicata nella nostra città da Zecchini Editore, Roberta Paganelli, già autrice di una biografia della Caracciolo, e il giornalista e musicologo Gianni Gori, ricordano la figura di Moranzoni e la sua abnegazione nel traversare l’oceano in tempo di guerra, con il pericolo dei sottomarini tedeschi, per portare al Met la partitura pucciniana e iniziarne la concertazione, con l’impresario Italiano Gatti Casazza che da New York sollecitava gli eventi.
La prima del Trittico, con protagonisti tra gli altri il soprano Claudia Muzio e il tenore Giulio Crimi, fu un successo clamoroso, con ben quaranta chiamate alla ribalta, e lo stesso Gatti Casazza scrisse che Moranzoni «fu magnifico».
Il direttore barese, allievo di Mascagni al Conservatorio di Pesaro fu così promettente che il maestro gli propose di dirigere a soli 21 anni, alcune repliche della sua opera “Le maschere” al Costanzi di Roma.
Moranzoni spiccò il volo prima a Milano poi a Bucarest, Torino, Modena e Perugia, prima di partire per la prima volta per gli States, meta: la Boston Opera Company, dove lavorò sei anni fino al 1917, prima di accettare l’incarico alla Metropolitan Opera House di New York, dove debuttò con “Aida”.
Al Met Moranzoni diresse altre prime mondiali di compositori americani e quella americana di “Lodoletta” di Mascagni, salendo sul podio ben 480 volte, e nel 1924 si trasferì alla Lyric Opera di Chicago fino al ‘39.
Proprio nel 1924 fu colpito da due gravi lutti: la morte della compagna Juanita Caracciolo, in seguito alle complicanze del parto, e del figlioletto, scomparso due mesi dopo per una infezione, e lasciò la casa di Varese, in via Bosto 86, per tornare in America.
GLI ULTIMI ANNI
Nel 1940 si ritirò a Milano dove insegnò canto, ma sei anni dopo fu invitato a tornare a Chicago a dirigere due opere, “Tosca” e “La traviata”, dopo di che si ritirò fino alla morte in una villa di Cesano Maderno.
L’uomo che diresse Enrico Caruso, Tito Schipa, Beniamino Gigli, Geraldine Farrar e fu intimo amico di Giacomo Puccini, era schivo e introverso e non amava parlare di sé, un perfetto antidivo che il compositore Alceo Toni così ricordava:
«Non mai ridondante ed enfatico nel gesto squisito, elegante ed essenziale, come fu elegante e signorile di sensibilità».
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