LUGANO
Nel mondo surreale di Meret

Quell’affascinante nudo femminile, «Erotico velato», ripreso da Man Ray dietro la ruota con manico di una macchina da stampa, esprime quanto la modella-artista Meret Oppenheim amasse i voli del Surrealismo nel subconscio umano.
Dirà poi: «Non sono io che ho cercato i surrealisti, sono loro che hanno trovato me». Hanno trovato il suo fascino, il suo talento quando, avendo deciso di dedicarsi alla pittura, appena diciottenne, giunse a Parigi. Nata a Berlino nel 1913, cresciuta tra Basilea, Germania e Canton Ticino, rimase nella Ville Lumière sino al 1937, per rientrare poi in Svizzera. E non lontano da Carona, borgo a lei caro dove nella casa di villeggiatura di famiglia trovò un rifugio sereno anche nei suoi momenti più inquieti, il Museo d’arte della Svizzera italiana (Masi Lugano), nella cornice del Lac, la celebra con la mostra «Meret Oppenheim. Opere in dialogo da Max Ernst a Mona Hatoum».
Curata da Guido Comis e Maria Giuseppina Di Monte, l’esposizione si dipana in una serie di «stanze» in cui emerge come l’artista interpreti i temi della ricerca surrealista e quanto ad essi restituisca, mettendo in mostra la fitta trama di rapporti personali e creativi che la legarono ai più anziani e celebri artisti del tempo.
E proprio «Riflessi dada e surrealisti» apre il percorso in uno stringente confronto tra opere della Oppenheim e di Marcel Duchamp, Man Ray, Max Ernst, Alberto Giacometti, Hans Arp, Francis Picabia. Le allusioni erotiche, proprie del mondo surrealista, appaiono nella sezione «Invito a colazione» in cui cibo, gusto, e oggetti della tavola si rapportano con sottigliezza alla sessualità.
Famosa la tazzina da caffè impellicciata, «La colazione in pelliccia», titolo che rimanda alla più celebre «Colazione sull’erba» di Manet con i due nudi femminili in compagnia di giovani borghesi. Ancora: in «Corpo e materia», lo «Studio per sandalo» ritrae una calzatura ricoperta di pelliccia che termina con le dita di un piede femminile in una sorta di commistione tra persona e oggetto, non diversamente dal dipinto di Matisse con la coppia di polacchini vuoti da cui fuoriescono i piedi.
La forza vitale degli organismi che si alimentano gli uni a spese degli altri sono il tema di alcuni quadretti fiabeschi e inquietanti di Oppenheim come «Uccello con parassita» e «Mano su cui cresce un fungo», opera presente nella stanza «Fra terra e cielo».
In «Sogni e archetipi» l’artista traduce in forme dall’apparenza fiabesca la percezione che ha di sé (la «Donna di pietra» senza braccia rivela il proprio senso d’impotenza), o riduce la donna a immagine spirituale o a creatura ambigua e infida o misteriosa. Le «Creature della natura» hanno un acuto dissacrante nel dipinto «Fine e scompiglio»: un bruco, futura farfalla, assiste turbato alla crocifissione di un fallo.
Meret scompare a Berna nel 1985, oltre due decenni dopo aver firmato la sua «Radiografia del cranio» su cui riportava gli anni di nascita e di morte, quest’ultima indicata nel 2000 pensando di portare nella tomba un altro mistero.
«Meret Oppenheim. Opere in dialogo da Max Ernst a Mona Hatoum» - Al Lac di Lugano, Masi, Museo d’arte della Svizzera italiana, piazza Luini 6, sino al 28 maggio da martedì a domenica ore 10-18, giovedì 10-20, 15/10 franchi, info 004158.8664230.
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