SANITA’
Nell’inferno dantesco del Pronto soccorso di Varese
Il racconto dell’esperienza di Fabio Minazzi

In questi giorni mi sono dovuto recare, improvvisamente, al Pronto soccorso dell’Ospedale di Varese per problemi di salute. Arrivo poco dopo le 16 ed essendo classificato in codice arancione entro una manciata di ore vengo visitato e mi vengono anche fatti alcuni esami. Tutto bene, dunque, perché sono accolto con professionalità ed attenzione da tutti gli operatori sanitari.
Gli esiti dei vari esami mi sono trasmessi in tarda serata, comunicandomi, però, che per completare questi esami devo essere ricoverato in Pronto soccorso per la notte, in modo di poter proseguire gli esami nella mattinata successiva.
Non me lo aspettavo, ma, naturalmente, “di necessità, virtù” e, quindi, senza saperlo né immaginarlo, vengo immediatamente catapultato in un infernale girone dantesco. Mi viene infatti assegnata una barella (sic!) e un posto in corridoio (sic!), ovvero il C9. Il numero arabo indica esattamente la “postazione” in cui è stata “parcheggiata” la barella assegnatami, mentre la lettera C indica che lo “spazio” assegnatomi si trova esattamente in un… corridoio del Pronto soccorso. Si, avete ben capito bene, perché vengo “ricoverato” su una comodissima barella in un corridoio, ovvero in uno spazio di passaggio, nel quale il flusso di persone, barelle, carrelli, personale, etc. è pressoché continuo. In questo caso il termine “ricoverato” costituisce allora un crudele eufemismo perché, semmai, sarebbe più indicato parlare di un inaccettabile “parcheggio” ospedaliero. Con questo “ricovero” si è infatti collocati su una barella piazzata in un corridoio, senza alcuna “privacy”, appunto in un luogo di passaggio. Nel mio caso posso anche godere del fatto che sono nei pressi del vano degli ascensori, dove il movimento è pressoché continuo.
Stando su questa simpatica situazione, il paziente non ha naturalmente alcun “ricovero” particolare: se così dovesse stare male non ha disposizione alcun campanello per avvisare il personale. Semmai deve arrangiarsi, scendere da solo dalla barella, e recarsi, se è in grado di farlo, presso il personale infermieristico. Queste barelle non sono poi protette da alcunché: non esiste infatti un telo che, pietosamente, sottragga il paziente allo sguardo di chi passa per il corridoio. Siamo stati poi invitati a sdraiarci e dormire con i nostri vestiti addosso (non ci si può infatti spogliare perché non si è in una camera e non si ha quindi a disposizione alcun armadietto). Gentilmente ci è stato anche ricordato di infilare le scarpe sotto il lenzuolo, insieme al portafoglio, al cellulare e, nel mio caso, anche agli occhiali. Per quale motivo? Per cercare di non farseli rubare…
Ma dove sono mai capitato? In una sola parola mi sembra proprio che questa soluzione non sia affatto dignitosa né per i pazienti, né, tanto meno, per il personale infermieristico e per quello medico. Per quale ragione? Perché i primi, i pazienti, vivono una condizione allucinante, da terzo mondo, in cui non hanno alcuna “privacy” e non dispongono di alcun particolare supporto. Sono semplicemente “parcheggiati” su una barella messa in corridoio e tutto finisce lì. Mi chiedo, allora, per quale motivo per anni, cioè fin da quando ho iniziato a lavorare (più di quarant’anni fa), ho sempre pagato fior di tasse per la sanità pubblica per dover poi vivere questa esperienza certamente non felicitante.
CONDIZIONI INTOLLERABILI ANCHE PER MEDICI E INFERMIERI
Ma questa situazione non è inoltre dignitosa anche per il personale infermieristico ed anche per quello medico che sono così costretti a lavorare in una condizione semplicemente inaccettabile e francamente intollerabile. Scorgo infatti tra le pieghe del volto del medico, gentilissimo, che mi visita in corridoio, sulla barella, una rapidissima increspatura del viso che interpreto scaturire proprio da questo profondo e comune disagio che medico e paziente non possono non condividere essendo entrambi catapultati, senza alcuna colpa, in questa bolgia infernale per descrivere la quale ci vorrebbe solo la genialità della penna dantesca. Infatti i pazienti si incontrano in corridoio coi medici e quanto gli viene comunicato non è naturalmente tutelato da alcuna privacy perché tutto è condiviso con gli altri “fortunati” pazienti, variamente allocati nel corridoio su altre barelle.
LE LUCI SI SPENGONO. MA NON TUTTE
Dopo le 22 le luci si spengono, a scacchiera, anche se il corridoio continua, naturalmente, ad essere illuminato proprio perché costituisce una struttura di servizio che deve sempre essere agibile, in qualunque momento, al personale medico ed infermieristico. Bisogna così adattarsi, volenti o nolenti, a questa cortese illuminazione, convincendosi che ci si può comunque addormentare anche in uno spazio illuminato e in cui ogni paziente condivide con tutti gli altri i propri dolori, le proprie ansie e la sua particolare condizione (infatti si può anche morire su queste barelle e allora si morirà anonimamente in mezzo ad altre persone che, eventualmente, mangiano, dormono, parlano, vomitano e soffrono variamente, essendo stati messi tutti “in pubblico”, come se costituissero solo una massa “animale” posta in una sorta di “recinto”, secondo una modalità che avrebbe certamente felicitato zio Adolf e il suo schietto razzismo.
Nel mio caso sono del resto “parcheggiato” proprio vicino ad una porta “antifuoco” sulla quale troneggia un minaccioso cartello che avvisa come questa porta debba essere sempre chiusa. Ma in questo caso è, naturalmente, aperta e spalancata, proprio perché i pazienti sono collocati in un corridoio dove non c’è più un buco libero. Del resto se faccio eventualmente presente che sono costretto a stare su una barella tutta la notte, non manca chi mi ricorda, cortesemente, che in realtà sono “fortunato”, perché ho appunto a disposizione una barella: ci sono infatti momenti più tragici in cui mancano anche le barelle e quindi ci si deve nuovamente arrangiare...
CHI DEVE FAR RISPETTARE LE REGOLE?
Catapultato in questa situazione mi chiedo allora se esista qualcuno che abbia eventualmente il compito di far rispettare la normativa vigente - che qui è palesemente violata e posta in non cale - e se questo eventuale “responsabile” abbia mai “visitato” la bolgia infernale di questo corridoio notturno. Infatti, come mi ricorda imperativamente il cartello della porta anti-fuoco, qui la normativa vigente - che pure dovrebbe esistere (siamo o non siamo la patria del diritto che ha dato i natali a Cesare Beccaria?) - è invece palesemente “sospesa”, con buona pace dell’anima sfortunata di chi capita, suo malgrado, in questo inferno. Inutile poi aggiungere come in questa situazione, che avrebbe fatto rabbrividire anche Kafka, i pazienti non abbiano naturalmente bagni riservati, con la conseguenza che devono dormire vestiti senza possibilità di lavarsi.
VARESE, LOMBARDIA
Non riuscendo a dormire mi interrogo su come sia possibile che il Pronto soccorso di una città come Varese si sia potuto ridurre a questo livello più che problematico. Varese, dopotutto, è in Lombardia che dovrebbe appunto costituire una delle regioni italiane tra le più ricche. Non siamo certamente a Roccacannuccia, possibile che un politico della Regione non sia a conoscenza di questo autentico scandalo incivile? Uno scandalo incivile che, appunto, mi aspetterei di incontrare in un paese povero del terzo mondo o del quarto mondo, ma non certamente in una ricca regione come la Lombardia. Mi chiedo poi come si sia mai potuti precipitare in questo tragico livello di inciviltà. Mi sovviene allora una notizia che avevo letto tempo fa in uno studio sugli ospedali lombardi, dove ho appunto letto che un tempo l’ospedale di Varese disponeva di circa mille posti letto. In tal caso chi si presentava al Pronto soccorso era poi, di norma, ricoverato dignitosamente nel reparto cui afferiva la sua patologia. Ma ora, se non ricordo male, i posti letto dell’Ospedale di Varese sono stati brutalmente ridotti a circa la metà. Scelta evidentemente esecranda che sarà stata dettata dalla volontà di risparmiare facendo dei tagli “lineari” nei bilanci, costringendo così la gente e il personale a pagare poi, sulla propria pelle, il prezzo di questi astuti “risparmi”. E qui forse ho toccato il punto decisivo perché il Pronto soccorso è stato costretto proprio dai politici a lavorare in queste condizioni indegne di un paese civile. Cerco così di addormentarmi immaginandomi che qualche politico regionale possa mai essere “ricoverato” al Pronto soccorso come è capitato a me e a tanti altri miei compagni di sventura che hanno avuto l’unica colpa di sentirsi male. Naturalmente anche questo “sogno” non si è realizzato ed ho così passato tutta la notte in bianco, senza riuscire ad addormentarmi. Per fortuna la mattina successiva sono stato dimesso e sono stato ben felice di poter tempestivamente abbandonare questa autentica bolgia dantesca.
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