IL CASO
No alla moschea? «Diritto violato»
La diatriba di Sesto Calende finisce alla Corte Costituzionale. Dubbi di legittimità sui tempi lunghi del Comune senza risposta alle istanze dei musulmani

La «mancata previsione, da parte della norma regionale» lombarda, «di tempi certi di risposta alle istanze dei fedeli interessati» alla costruzione di una moschea su un territorio comunale crea una situazione di «attesa a tempo indeterminato e di incertezza» che è un «ostacolo all’esplicazione del diritto di libertà religiosa».
Lo scrive il Tar (Tribunale amministrativo regionale) della Lombardia in una sentenza con cui ha deciso di sollevare la questione di illegittimità costituzionale della legge appunto lombarda per il caso di Sesto Calende e più precisamente il no del Comune alla realizzazione del luogo di culto islamico.
In sostanza, i giudici amministrativi, a seguito del ricorso dell’Associazione comunità islamica ticinese in una vicenda che va avanti ormai da anni, hanno evidenziato profili di “incostituzionalità” della normativa regionale ulteriori rispetto a quelli già messi in luce in una recente sentenza sul caso del no ad una moschea a Castano Primo, nel Milanese.
Il collegio della seconda sezione del Tar milanese (presidente Silvana Bini) “dubita“, infatti, della legittimità costituzionale dell’articolo 72 della legge regionale nella parte in cui «non detta alcun limite alla discrezionalità del Comune nel decidere quando (comma 5) e in che senso (commi 1 e 2) determinarsi a fronte della richiesta di individuazione di edifici o aree da destinare al culto». Per quest’ultimo aspetto, tra l’altro, lo stesso Tar lombardo di recente ha già sollevato la questione alla Consulta sul caso di Castano Primo e, dunque, i giudici del procedimento su Sesto Calende hanno sospeso il giudizio su questo fronte in attesa della decisione della Corte Costituzionale.
Gli stessi giudici, tuttavia, nell’ultima sentenza vanno oltre e contestano anche il comma quinto dello stesso articolo. Per il tenore letterale «dell’articolo 72 comma 5», scrive il Tar, «i fedeli di una confessione che intendono trovare una sede per esercitare il proprio culto devono attendere per un tempo indeterminato la decisione del Comune di individuare o meno un’area da destinare ad attrezzatura religiosa».
Se, infatti, «decorre inutilmente il termine dei 18 mesi», previsto dalla legge e come è accaduto a Sesto Calende, «l’Amministrazione non ha alcun obbligo di avviare il procedimento di revisione del Piano di governo del territorio, per individuare le aree destinate a luogo di culto». E non c’è alcuna sanzione prevista dalla legge se non si rispetta quel termine.
Una situazione che, concludono i giudici, «non è compatibile con il rango costituzionale del diritto di libertà religiosa».
È una storia infinita quella della moschea negata a Sesto Calende: un braccio di ferro giudiziario, su due binari (Consiglio di Stato e Tar), che ha origini lontane (2009). Ora, le norme regionali richiamate o contestate dalle parti vanno all’esame della Corte Costituzionale.
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